Le politiche Deia (Diversità, Equità, Inclusione e Accessibilità) sono sempre più praticate nelle aziende perché apportano benefici concreti. Come implementarle? Che ruolo hanno i manager? Ne parliamo con Luciano Cantoni, executive & career coach, Icf certified, Deia specialist, startup mentor.
Come stanno oggi le cose a livello di Deia nel mondo del lavoro?
«Le prime iniziative in merito si sono sviluppate intorno agli anni 80 negli Stati Uniti. Da allora, sempre più aziende riconoscono che una forza lavoro diversificata e inclusiva può portare a migliori risultati in termini di innovazione, produttività e soddisfazione dei collaboratori. Secondo un recente report del World Economic Forum, si sta assistendo a un’evoluzione nelle politiche Deia: se nella fase iniziale di questo tipo di percorsi ci si è concentrati principalmente sulla formazione, ora il focus si sta evolvendo sull’implementazione di azioni e iniziative più continuative, strategiche e integrate nei processi. Nonostante questa giusta evoluzione verso un “approccio olistico alla Deia”, in Italia possiamo migliorare: secondo un report di PwC Italia, il 62% delle aziende considera la Deia una priorità strategica, ma solo il 40% ha implementato politiche formali in materia» (Fonte: PwC Italia, Diversity & Inclusion Survey 2022).
Perché le differenze anagrafiche, di genere, etnia ecc. sono diventate un fattore determinante per competere?
«Parlando al mondo dell’impresa e del business è importante far comprendere che integrare approcci, cultura e iniziative legate al mondo della Deia non solo ha una solida motivazione etica, ma può essere un fattore determinante per la sostenibilità del business e per la sua espansione. Sono numerosi, infatti, gli studi che dimostrano come le aziende attente alle politiche Deia abbiano più probabilità di conquistare nuovi mercati, sono più innovative, più facilitate nell’attrarre e trattenere talenti di qualità e hanno una migliore reputazione tra clienti e stakeholder».
In pratica, pensando a un’azienda, cosa si tratta di fare? Quali le azioni e gli strumenti?
«Innanzitutto, si tratta di definire e mettere in atto un vero e proprio percorso di trasformazione culturale e organizzativa con impatti non solo Hr, ma che coinvolgano tutte le diverse “anime” di un’organizzazione, dalle vendite alla produzione, dal marketing all’alta dirigenza. Fondazione Diversity, con cui collaboro, ha sviluppato un vero e proprio percorso di diversity transformation che inizia dall’ascolto della realtà aziendale per comprenderne il livello di maturità e, su questa base, sviluppa un percorso a step evolutivi, che prevede certamente la formazione sui temi Deia, ma si estende a un’azione sinergica e continuativa su cultura, processi e organizzazione. Le azioni principali sono: definizione di una strategia Deia chiara e misurabile; formazione e sensibilizzazione; revisione delle politiche e dei processi Hr; comunicazione interna inclusiva; go to market inclusivo; monitoraggio e misurazione».
Qual è il ruolo della managerialità in tutto questo?
«Il ruolo della managerialità è fondamentale per il successo di qualsiasi iniziativa Deia. Il/la manager è il ponte tra la strategia aziendale e la sua implementazione concreta a livello di team e di singoli individui. È responsabile nella creazione di un ambiente di lavoro inclusivo in cui ogni persona si senta valorizzata, rispettata e in grado di contribuire al meglio. Riprendendo i vantaggi e gli impatti positivi di approcci alla managerialità più inclusivi, è fondamentale sottolineare come la mancanza di evoluzione e sensibilità verso questi temi possa riflettersi negativamente sulla sostenibilità e sul successo del singolo manager/professionista.
Il mondo del lavoro è cambiato, le nuove generazioni hanno un rapporto diverso con la gerarchia e le dinamiche aziendali, il periodo pandemico ha cambiato le prospettive di tutte le generazioni attualmente occupate nel mondo del lavoro. Ignorare aspetti come l’engagement del team e delle persone, la psychological safety, l’ascolto, il riconoscimento e il coinvolgimento di tutte le risorse di un team, ne riduce l’efficienza e la resilienza e genera un impatto negativo sulle performance e sulle valutazioni del manager stesso. Il/la manager dovrà sempre orchestrare, stimolare, coordinare, chiedere, aiutare il team a generare il massimo del valore, grazie al confronto e a un ambiente lavorativo non conflittuale.
Abbracciare e sposare le politiche Deia proposte dall’azienda risulta un passaggio necessario per questa evoluzione, non solo perché fanno parte della strategia aziendale, ma soprattutto perché rappresentano un fattore critico per il successo della propria carriera, della società per cui si lavora (consumatori e consumatrici continuano a evolvere e ad espandersi), senza dimenticare il benessere del team. Per questo è importante che ogni persona con un ruolo manageriale faccia un percorso di consapevolezza dei propri talenti così come delle proprie fragilità, allo scopo di portare autenticità nel proprio ruolo aziendale. Come coach supporto molti manager in questo percorso, con risultati sempre soddisfacenti».
E quello del personale? Come coinvolgerlo attivamente?
«Anche il personale ha un ruolo essenziale nel successo delle iniziative Deia. È importante attivare iniziative di questo tipo posizionandole come un impegno condiviso da tutta l’organizzazione. Il coinvolgimento attivo delle persone è fondamentale per creare una cultura aziendale realmente inclusiva e sostenibile nel tempo. È importante promuovere consapevolezza e sensibilizzazione sui benefici che comportamenti e pratiche inclusive hanno per tutti all’interno di un’organizzazione. Come indicato in precedenza, la formazione e la condivisione di una vision chiara e definita in relazione ai valori che l’azienda abbraccia sono fondamentali punti di partenza.
Per coinvolgere e mantenere attiva l’attenzione e il focus sulla Deia è suggeribile promuovere la partecipazione a iniziative e gruppi (come gli Erg) che permette a ogni persona di portare un contributo attivo nello sviluppo e nel mantenimento di una cultura inclusiva. Riconoscere e premiare l’impegno attivo in iniziative Deia risulta altrettanto importante quanto lo stigmatizzare i comportamenti non in linea con policy e valori definiti e condivisi (politica “zero tolerance”)».
E il tutto, quali risultati porta?
«Ci sono tantissimi studi ed evidenze che chiariscono in modo inequivocabile gli impatti e i vantaggi che si ottengono integrando un approccio Deia in tutto il tessuto azienda le (vedi box). In generale, emerge chiaramente che, oltre a rappresentare un valore etico nei confronti della popolazione aziendale e verso il proprio target di riferimento, un’azienda che opera ed è percepita come inclusiva ha maggiori possibilità di performare meglio sotto tanti punti di vista.
È chiaro che Deia non è solo un acronimo o una “buzzword” da sventolare per adattarsi a una moda del momento. Quando Diversità, Equità, Inclusione e Accessibilità diventano parte integrante della cultura aziendale, i vantaggi sono evidenti a tutti coloro (interni ed esterni) che interagiscono con questa azienda. Una strategia Deia è un fattore di successo e sostenibilità per qualsiasi business, per questo non può essere ignorata o considerata “un task delle risorse umane”.
Mi permetto di aprire una parentesi sull’acronimo Deia. Siamo partiti dal classico Diversity & Inclusion (D&I), si è evoluto in Diversity equity and inclusion e ora si parla di Diversity equity inclusion and accessibility. Ne parlo qui per sottolineare che, oltre al sacrosanto aspetto etico, il mondo dell’accessibilità rappresenta non solo un obbligo normativo (l’European Accessibility Act entrerà in vigore il 28 giugno di quest’anno), ma c’è un grande potenziale nell’integrare strutturalmente l’accessibilità nelle proprie strategie, dato il potenziale rappresentato da questo mondo, senza contare la ricaduta positiva su brand reputation e attrattività di nuovi clienti e talenti».
Perché ancora troppi non lo fanno?
«Il cambiamento è complesso e costa, in termini di investimenti e di tempo da dedicare. Mi ricorda i miei 20 anni nel mondo del digital, dove anche un fenomeno che possiamo dare per scontato come la “digital transformation” ancora oggi è lontano dall’essere stato affrontato nella sua interezza. Sottovalutare l’impatto e i vantaggi di queste iniziative in termini di sostenibilità del business, capacità di attrarre talenti, capacità di adattarsi a un mercato che cambia (grazie anche all’innovazione), rischia di escludere dall’equazione un fattore di successo che ha una rilevanza decisamente marcata.
È quindi importante superare l’inerzia iniziale, affidarsi a professionisti preparati, attivare percorsi di diversity transformation in linea con “il ritmo” della propria azienda, dove sperimentazione, misurazione e adattamento ai risultati risultano fondamentali per poter traghettare la propria realtà verso un’evoluzione culturale e organizzativa non più rimandabile. Ricordo una presentazione di Google che riportava un acronimo che mi colpì molto: Coi=Cost of ignoring.
Quanto costerebbe ignorare i benefici e i vantaggi di una strategia Deia autentica e ben studiata? Gli studi portati avanti da Diversity e Focus Management si basano sul concetto del Net promoter score (Nps), l’indice di passaparola che fa leva sulla fiducia e che ha impatto sulla reputazione, un valore che ogni realtà che fa business deve costruire con la propria utenza. Un’azienda non considerata inclusiva ha un Net promoter score molto basso (-77%) rispetto a un brand considerato inclusivo (+86,5%). Come si capisce il “Cost of ignoring” è tutt’altro che trascurabile».
Chi è più avanti in termini di Deia tra mondo del lavoro e società?
«Secondo me, aziende e società si influenzano reciprocamente per quanto riguarda la Deia. Il mondo del lavoro e le società si rendono sempre più conto dei vantaggi della Deia in quanto le buone pratiche hanno un impatto positivo sull’organizzazione, sull’engagement della popolazione aziendale e sui risultati di business. Le aziende sono fatte di persone che si trovano più a loro agio in contesti inclusivi. Le stesse persone sono più orientate a scegliere prodotti e servizi da parte di brand considerati inclusivi.
A tal proposito, l’ultima ricerca già citata di Diversity (insieme a Focus Management) conferma che l’inclusione resta sempre determinante come driver di scelta per consumatrici e consumatori nei confronti dei brand: 7 persone su 10 scelgono brand inclusivi, e 3 persone su 10 non accettano i brand neutrali, ossia che non prendono una posizione rispetto alla DEIA (fonte: Diversity Brand Index).
Allo stesso modo, realtà aziendali che, prima di altre, si muovono verso percorsi di diversity transformation influenzano la società, diffondono buone pratiche e quindi aiutano a migliorare il percepito anche nella società. Per questo ogni anno Diversity organizza il Diversity Brand Summit (l’ultimo si è svolto a febbraio 2025), un evento in cui non solo vengono condivisi i risultati della ricerca che ho in parte citato in questo articolo, ma vengono anche premiati i migliori progetti di Deia delle realtà italiane, contribuendo così a diffondere la cultura dell’inclusione nelle aziende e nella società»
Guardando al futuro, quali obiettivi dobbiamo darci?
«Le sfide sono tante e la complessità dei giorni nostri è non indifferente. Ignorare l’importanza e i vantaggi di un contesto aziendale dove la Deia diventi un fattore di crescita e di sostenibilità del business, considerandola secondaria rispetto a “tutto quello che sta succedendo”, rappresenta una missed opportunity che, secondo me, non possiamo più permetterci.
Diamoci quindi l’obiettivo di includere la Deia come fattore fondante e strategico della nostra realtà aziendale (come marketing, produzione, amministrazione, Hr ecc.): attiviamo un percorso di ascolto, coinvolgiamo specialisti e tutta la popolazione aziendale, facciamoci contaminare dalle buone pratiche di realtà anche lontane dal nostro business. Mi piacerebbe che chi leggesse questo articolo entro la fine del 2025 abbia contribuito ad attivare un percorso di diversity trasformation nella propria azienda».
La diversity è oggi sotto scacco, soprattutto in America. Proprio in Usa alcune delle aziende prima paladine stanno facendo retromarcia. Cosa possono fare lavoratori e cittadini? E quali potrebbero essere le ricadute a livello mondiale?
«Negli Stati Uniti si sta assistendo a una certa retromarcia su alcune iniziative Deia, soprattutto a livello politico e in alcuni settori aziendali. Questo fenomeno, spesso definito Deia backlash, è alimentato da diverse ragioni. Innanzitutto, una polarizzazione politica e culturale che ha portato un’inversione del punto di vista creando la critica alla “cultura Woke”, non dissimile alla cosiddetta “teoria del gender” che abbiamo visto diffondersi in Italia.
Poi, le pressioni economiche e un focus sul breve, che potrebbero avere impatto sulla riduzione dei budget e del focus sulla Deia. Per contro, questo articolo è ricco di spunti sui vantaggi della Deia per persone e aziende. Questi sono fatti, risultati concreti, che non sono destinati a cambiare: l’utenza, la clientela continuerà a scegliere aziende in linea con i propri valori, i talenti sceglieranno sempre di più contesti lavorativi che assicurino un ambiente sfidante e inclusivo, la cultura manageriale dovrà diventare sempre meno top-down se vuole perseguire i propri obiettivi.
È importante continuare a ricordare perché vengono attivate queste iniziative, nella consapevolezza che in questo momento stiamo vivendo una certa turbolenza, che però non può cancellare il lavoro e i progressi fatti fino a qui. Come ulteriore conferma, in questi giorni aziende come Apple hanno ritenuto importante comunicare chiaramente di non voler abbandonare il focus verso la Deia: dove la scelta è autentica e convinta, i risultati ci sono e quindi si vuole continuare. Il percorso e la direzione sono segnati, è fondamentale lavorare su progetti e iniziative concrete, misurabili, adattabili e sapere che gli obiettivi si raggiungono con la perseveranza, con l’entusiasmo e condividendo sforzi e successi con tutta la popolazione aziendale».
«La strada delle donne verso la parità è in corso, ma c’è ancora tanto da fare. Ancor più c’è da fare per arrivare a un’inclusione vera che valorizzi tutti – uomini e donne, giovani e senior, culture ed etnie diverse – nonché ogni diversa abilità.
Come dovrebbe ormai essere chiaro a tutti, non si deve farlo per buonismo, piuttosto per equità, ma ancor più perché i dati dimostrano che l’inclusione porta valore e dà alle aziende più benessere e migliori risultati in termini di produttività, fatturati e capacità di crescita. In questo i manager, laddove presenti, hanno un ruolo determinante per mettere a terra e in sinergia questi valori e farne un fattore competitivo e vincente.
Un modo per convincere tutti della bontà, anche economica, di questo cambio, prima di tutto culturale, che può trovare nel mondo del lavoro il punto di partenza per ampliarsi alla famiglia e alla società».
Cristina Mezzanotte, coordinatrice area Dei di Manageritalia.
ALCUNI DATI SUI BENEFICI DELLE POLITICHE DEIA PER LE AZIENDE
Mercati globali e clienti diversificati Una ricerca di Harvard Business Review (“What make an inclusive leader?”) ha dimostrato che le aziende in cui le leadership valorizzano le diversità in termini di organizzazione, processi, logiche di recruitment orientati alla Deia hanno il 70% in più di probabilità di conquistare nuovi mercati.
Innovazione e creatività Uno studio di Forbes (“Diversity confirmed to boost innovation and financial results”) ha rilevato che le aziende con maggiore diversità di pensiero superano i competitor del 20% in termini di innovazione.
Talent acquisition e retention In un mercato del lavoro sempre più competitivo, attrarre e trattenere i migliori talenti è fondamentale. Le nuove generazioni, in particolare, sono sempre più attente ai valori aziendali e alla cultura inclusiva. Le aziende che dimostrano un impegno concreto per la Deia sono più attraenti per i talenti diversificati e hanno maggiori probabilità di trattenere i propri collaboratori nel lungo termine. Uno studio di LinkedIn (Why is diversity and inclusion important?”) ha rilevato che il 76% dei candidati considera la diversità un fattore importante nella scelta di un’azienda.
Reputazione aziendale e brand value L’impegno per la Deia contribuisce a costruire una reputazione aziendale positiva e a rafforzare il brand value. I consumatori sono sempre più attenti all’impegno sociale delle aziende e premiano quelle che si dimostrano inclusive e responsabili.
Stabilità finanziaria Uno studio di Deloitte (“The diversity and inclusion revolution: eight powerful truths”) ha evidenziato che le aziende con culture inclusive hanno il doppio delle probabilità di raggiungere o superare gli obiettivi finanziarie 6 volte più probabilità di essere innovative e agili.
Maggiori volumi di vendita In Italia, Diversity promuove da 8 anni (in collaborazione con Focus Mgmt) il “Diversity brand index”, una ricerca che conferma come i brand considerati “autenticamente inclusivi” possono generare volumi di vendita superiori fino al 24% di brand non considerati inclusivi. Negli anni questo differenziale è cresciuto, così come è cresciuta l’aspettativa dei consumatori rispetto a posizioni solide e concrete dei loro brand preferiti verso il mondo della Deia – Diversity Brand Summit
LE AZIONI PRINCIPALI PER UN PERCORSO DI DIVERSITY TRANSFORMATION
Definizione di una strategia Deia chiara e misurabile È fondamentale partire da un’analisi della situazione attuale dell’azienda in termini di diversità e inclusione, definire obiettivi specifici, misurabili, raggiungibili, rilevanti e temporalmente definiti (smart) e stabilire indicatori di performance (Kpi) per monitorare i progressi.
Formazione e sensibilizzazione Offrire programmi di formazione e sensibilizzazione sulla Deia a tutti i livelli aziendali, dai manager ai dipendenti, per aumentare la consapevolezza sui temi della diversità, dell’inclusione, dei pregiudizi inconsci e delle micro-aggressioni in ambito lavorativo.
Revisione delle politiche e dei processi Hr Rivedere e aggiornare le politiche e i processi Hr (selezione, assunzione, valutazione delle performance, promozione, retribuzione, sviluppo di carriera, politiche di welfare aziendale) per garantire che siano equi, inclusivi e che non perpetuino discriminazioni inconsce.
Comunicazione interna inclusiva Utilizzare un linguaggio inclusivo in tutte le comunicazioni aziendali (interne ed esterne), evitare stereotipi e pregiudizi e promuovere una narrazione positiva della diversità.
Go to market inclusivo Costruire la propria relazione con i mercati, in modo che ogni cliente, stakeholder e persona si senta valorizzata nella comunicazione esterna, così come nei prodotti e nei servizi a loro destinati.
Monitoraggio e misurazione Monitorare regolarmente i dati sulla diversità e l’inclusione, raccogliere feedback dai dipendenti e dai mercati per misurare l’impatto delle iniziative Deia per identificare aree di miglioramento e aggiustare la strategia.
Luciano Cantoni è executive & career coach certificato ACC dalla International coaching federation, con esperienza nel supporto a manager, talent e aziende per la crescita professionale e personale. Specializzato nello sviluppo di stili di leadership inclusivi e “future proof”, ha trascorso 17 anni in Google con ruoli di crescente responsabilità nel digital advertising e nella digital trasformation. People manager da più di un decennio, si è avvicinato al coaching durante la sua esperienza in Google. Attivista e promotore della Deia (Diversity, Equity, Inclusion, Accessibility), nel 2015 ha fondato l’ERG LGBTQ+ di Google Italia, assumendo poi il ruolo di european steering committee member, con focus su partnership e outreach. Dal 2023 collabora con Diversity Lab (www.diversitylab.it), divisione profit della Fondazione Diversity che dal 2013 promuove la Deia nelle aziende e nella società.