Siamo in Finlandia, nella sede di Deloitte, a Helsinki. La stagista del reparto Marketing viaggia su e giù in ascensore: sale e scende per ore, senza mai uscirne. Quando le chiedono che cosa stia facendo, risponde che il movimento l’aiuta a pensare meglio. Una telecamera nascosta riprende le facce stranite delle persone che entrano in cabina con lei. Poco alla volta, i dipendenti, sempre più imbarazzati, cominciano a contattare il management chiedendo di farla smettere. La scena si ripete per più giorni consecutivi. L’imbarazzo continua a crescere. Quando non «viaggia» in ascensore, la stagista passa ore seduta alla sua scrivania a fissare platealmente il vuoto con fare riflessivo.
Quello che i dipendenti non sanno è che, involontariamente, hanno preso parte a un intervento artistico concordato con il management dell’azienda. La stagista in realtà è l’artista contemporanea Pilvi Takala, una performer le cui opere sono pensate per rendere esplicite e percepibili norme e regole non scritte, che governano contesti sociali di vario tipo. Per due mesi si è finta stagista: ogni giorno è andata al lavoro negli uffici di Deloitte mettendo in pratica comportamenti che gli altri percepivano come «strani», di certo estranei a quel luogo e, quindi, poco appropriati.
La stagista dichiarava di essere occupata a pensare. Star seduta alla scrivania senza computer, guardando nel vuoto o in piedi in ascensore, la aiutava a pensare meglio. Questo tipo di approccio, in una società di consulenza dove c’è un’enorme pressione per raggiungere risultati «subito e non dopo», viene accolto male. Nella presentazione di Trainee, il titolo dell’opera, Takala sostiene che se fosse stata tutta la giornata davanti a un computer su Facebook avrebbe potuto suscitare l’irritazione in alcuni, ma la maggior parte non l’avrebbe probabilmente neanche notata.
L’artista mette così in evidenza come la mentalità «da catena di montaggio», ancora oggi, condizioni il modo di rapportarsi al lavoro anche in ambienti legati alla produzione intellettuale. I più complessi processi mentali e creativi che una knowledge worker mette in atto sul lavoro, al contrario, non vengono presi in considerazione, non trovano spazio e risultano dissonanti se non addirittura sanzionabili rispetto alla pratica socialmente accettata.
Il perenne cambiamento
Da alcuni anni si parla del mondo VUCA (volatile, uncertain, complex, ambiguous). Un millennial medio, dicono gli studi, cambierà dagli 8 ai 15 datori di lavoro nel corso della sua carriera. Non solo. I millennial e le generazioni Y rimangono mediamente in un posto di lavoro per un massimo di 4 anni di seguito. Ma in movimento non sono solo i giovani.
La trasformazione del mondo del lavoro la stiamo vivendo tutti. Con la pandemia, il lavoro a distanza è ormai diventato la normalità in molti luoghi di lavoro. Le persone lavorano ovunque, ma in un mondo globale anche in orari precedentemente inconsueti, magari connessi con i colleghi in altri continenti, con fusi orari diversi. Da un lato si vive uno nuovo spazio di “libertà” nel gestire il lavoro in maniera fluida, in cui l’individuo almeno a primo acchito ha la possibilità di scegliere come organizzarsi. Emergono però sfide personali e manageriali nuove: l’overlapping tra la dimensione privata e il lavoro, così come lo stress mentale che l’iper connessione porta con sé, provocano stanchezza.
In queste condizioni i manager devono riflettere su come evitare un allontanamento emotivo delle persone dal contesto organizzativo, su come coltivare ingaggio e senso di appartenenza, come organizzarsi e coordinarsi in uno spazio fluttuante tra fisico e digitale. La pandemia è stata solo un acceleratore di un processo che stava già prendendo piede precedentemente, poiché in una knowledge society i cosiddetti “lavoratori della conoscenza” cercano purpose e condizioni di lavoro che offrano la possibilità di crescere e imparare, coniugate con un modo di lavorare “on-demand”.
La relazione tra persona e lavoro è dunque cambiata e la nuova sfida manageriale riguarda la giusta distanza, ovvero come imparare a entrare in contatto con gli altri, ma anche con se stessi e con il senso del proprio lavoro, senza lasciarsi travolgere dalla complessità derivante da un mondo sempre più interconnesso (e iperconnesso).
Complesso e invisibile
Il lavoro di tanti oggi è invisibile. La knowledge economy costruisce il suo valore soprattutto nel virtuale, nell’intangibile. Il lavoro di moltissime persone oggi è diventato astratto, il contributo del singolo si incastra all’interno di progetti così complessi e di natura immateriale, che è difficile percepire il valore che si va a creare a livello individuale, all’interno di un insieme gigantesco e articolato. In momenti di sconforto e stanchezza, l’intangibile porta a pensare e sentire che ciò che si sta facendo non ha significato vero. Tutto è complicato, astratto e bisognerebbe innovare e creare del nuovo, per evitare che i competitor portino via i clienti.
La gestione di tutte queste dimensioni richiede l’allenamento di competenze forse non proprio nuove, ma che diventano cruciali per rimanere in equilibrio all’interno della complessità che il mondo contemporaneo offre. Serve l’abilità di fare domande e mettere in discussione i modelli regnanti, per scoprire il nuovo e il diverso in un mondo che richiede costante innovazione. Serve una buona gestione del sé, una capacità di profondo ascolto di se stessi e degli altri, la resilienza e l’intelligenza emotiva. Tutte queste competenze si attivano in un prezioso spazio che è quello del dialogo che possiamo e dobbiamo avere con noi stessi e gli altri.
Per un manager occorre saper entrare in contatto, in una forte connessione con gli altri e con il senso e lo scopo del proprio lavoro ma allo stesso tempo risulta cruciale mantenere una appropriata distanza, non farsi travolgere e quando necessario, allontanarsi. La relazione che abbiamo con il nostro lavoro è come un fuoco che arde in un camino: ci riscalda, ci ristora e crea grande benessere ma se ci avviciniamo troppo rischiamo di bruciarci.
Liberamente tratto dal libro: Conoscere la giusta distanza – Sfide di management in un mondo complesso di Anja Puntari, edito da Guerini Next.