Prosegue il format di Manageritalia che interroga alcuni manager associati su come stanno vivendo e gestendo l’emergenza coronavirus. Andrea Vivi è Ceo Addestra e direttore Eco Certificazioni a Faenza, nonché associato Manageritalia Emilia Romagna. Ci racconta la sua esperienza.
Come avete affrontato nell’immediato l’emergenza coronavirus in Addestra Eco Certificazioni?
«Con serietà e senso di responsabilità, remote working per il personale operativo e dei servizi generali, ancora qualche attività presso i clienti e infine l’accesso alla cassa integrazione per coloro per i quali non era possibile organizzare attività lavorativa. Velocemente abbiamo attrezzato il poco personale che non aveva un portatile con gli strumenti informatici per lavorare da casa».
In quest’emergenza un business come il vostro (formazione, ispezioni, collaudi e certificazioni) in che modo può proseguire?
«Rientrando fra i codici Ateco previsti dal decreto ministeriale, proseguiamo la nostra attività soprattutto nel garantire la conformità di prodotti che le aziende, anche in questi momenti difficili, devono consegnare a coloro che si stanno prendendo cura di noi. Anche nelle ispezioni di legge nei luoghi di lavoro stiamo svolgendo attività spot per garantire sempre la sicurezza delle attrezzature utilizzate dal personale che ancora lavora nei servizi essenziali. Inoltre il nostro mestiere è fatto di controlli e ispezioni presso i clienti, ma anche di attività da remoto come analisi di fascicoli tecnici, verifiche di calcoli strutturali, analisi funzionali all’attestazione Industria 4.0 ecc., attività che già prima svolgevamo a distanza. Infine, per la formazione, abbiamo attivato un catalogo smart per formazione a distanza al tempo del coronavirus».
Cosa avete fatto per garantire salute e sicurezza di collaboratori, partner e clienti?
«Verificata con i clienti l’effettiva esigenza di svolgere le attività, abbiamo lasciato il libero arbitrio al dipendente o collaboratore di scegliere se andare presso il cliente con gli adeguati dpi; ove le necessità del cliente non erano pressanti, alcune attività sono state posticipate. Mentre nelle attività presso i nostri uffici, fin dai primi giorni di marzo, abbiamo subito adottato i criteri della distanza e della sanificazione delle superfici di lavoro. Successivamente, appena possibile, abbiamo però attivato il lavoro in remoto e smart working: prima nelle sedi di Padova e Reggio Emilia e per ultima nella nostra sede principale a Faenza».
State lavorando più del solito?
«Più del solito no, ma avendo già consuntivato i dati di marzo, posso dirle che stiamo tenendo: il nostro settore vive sempre delle inerzie, rispetto le frenate del mondo industriale. Nel settore della certificazione di prodotto, per esempio, abbiamo avuto un calo di solo il 20%, ma temiamo molto per i risultati di aprile. Un’attività che si lega anche alla ripresa è quella dell’Attestazione degli investimenti in ottica 4.0: in questi giorni siamo riusciti a completare in remoto una verifica per un’azienda di Codogno di macchinari che saranno venduti nelle prossime settimane. Abbiamo svolto una Verifica 4.0 Ready. Aiutare le aziende a farsi trovare pronte con tutte le verifiche tecniche e le dichiarazioni che gli consentano di avere i beni conformi è un grande valore per noi in questo periodo. Il piano 4.0 è una forte leva per aiutarle a realizzare i loro investimenti e a garantire la piena conformità tecnica dei beni, anche con l’adozione delle ultime tecnologie (ricordiamo il concetto dell’interconnessione presente nei requisiti)».
E’ cambiato qualcosa nella filiera?
«Operiamo in quasi tutte le filiere industriali, per esempio nel settore automotive, dove operiamo come ente tecnico che omologa moto e veicoli: abbiamo visto fermarsi gli stabilimenti produttivi, ma non gli uffici tecnici, ove lavorano coloro che si occupano delle tecnologie innovative per il futuro. La nostra operatività in questo frangente garantisce un supporto nelle loro attività, consentendogli di farsi trovare pronti nel momento della ripresa. Nel nostro laboratorio di Padova i colleghi, sebbene a distanza, stanno costruendo i protocolli di prova per i nuovi veicoli in uscita sul mercato e ne verificano i progetti che i clienti presenteranno nei prossimi mesi».
Qual è il ruolo di un manager in questi frangenti?
«Si traduce in questa frase, che ripeto come un mantra a me stesso e al team: “Stiamo tutti a casa” (fondamentale oggi, non ci sono dubbi), ma “Stiamo tutti a casa con la testa nel futuro”. Stiamo infatti alternando cassa integrazione e lavoro da remoto per tenere viva l’attenzione, webinar, call, aperiskype, email per riflettere, anche video allegri: il team va motivato e sostenuto! E il nostro ruolo è proprio quello di coinvolgere il team che il nostro futuro, ora più che mai, lo costruiremo solo noi e lo stiamo costruendo proprio in queste settimane. Recentemente ho ricordato a tutti l’importanza del contatto con clienti, fornitori, partner con qualunque mezzo in questo periodo (mail, telefono, messaggistica, social): dobbiamo farci sentire per essere vicini a tutti, ma anche per trovare noi stessi conforto in questo difficile momento».
Nonostante la difficoltà dell’emergenza in atto, riesce a vedere opportunità da cogliere per il vostro business in ottica futura?
«Nella formazione stiamo ripensando il nostro modello, promuovendo aule virtuali e Fad, sebbene ammetto di non essere un amante di questi strumenti, ma mi sono ritrovato a utilizzarli frequentemente in questo momento. Nelle altre attività è quasi impossibile per noi non andare dai clienti. La vera rivoluzione sarà nella conduzione degli incontri tecnici e commerciali, ove, soliti a svolgerli anche a migliaia di chilometri da noi, per una sola ora o due, ci porremo la domanda se avrà ancora senso condurli presso il cliente! Pensiamo al saving di tempo, risorse consumate, inquinamento ridotto, ecc. Su questo tema partirà un serio confronto al nostro interno».
E per altri business?
«L’altro giorno ho fatto una Skypecall con una società di consulenza che già da anni svolgeva il 30-40% del lavoro in smartworking e che nelle sue offerte esplicita di avere ridotto le emissioni CO2. Per coloro che lavorano nei servizi è un tema da affrontare seriamente, certo non puoi fare otto ore di consulenza su Skype, Team, Zoom, ma una mezza giornata sì. In questo senso i progetti di banda larga, fibra ottica, 5G andranno spinti e dovranno diventare una priorità. In ambito manifatturiero non cambierà molto, ma nei servizi sì».
Cosa chiedono le società del suo settore al Governo?
«Siamo stati molto attivi in questo periodo nel confronto con diversi ministeri, con le nostre associazioni di categoria (noi aderiamo alle due più importanti del settore e siamo in entrambi i direttivi). Per noi era fondamentale chiedere un’estensione della validità dell’art. 103 del Cura Italia anche alle certificazioni emesse dagli organismi; a oggi il tema non è ancora chiarito pienamente e l’incertezza non aiuta noi e i nostri clienti».
Che ruolo hanno in questo momento le associazioni di categoria?
«Sono fondamentali, il confronto è la prima risorsa per prendere le decisioni migliori per le nostre aziende. Nel nostro settore inoltre il confronto con il legislatore non può essere in mano al singolo e le associazioni sono utili per evitare che vengano emessi documenti difficilmente applicabili per noi e per i nostri clienti. Operiamo in settori trasversali, pensiamo alla confusione sulle mascherine: sono un Dpi (dispositivo di protezione individuale) coperto da una direttiva comunitaria e pertanto per legge devono essere marcate CE con certificazione rilasciata da ente notificato. Giustamente, vista l’emergenza, sono state date delle deroghe: un supporto del nostro settore per concordare le regole e come le stesse possano essere verificate è un auspicio, proprio per fare chiarezza e aiutare sia i possibili produttori che importatori, ma soprattutto i consumatori e coloro che ne hanno più necessità».
In particolare come manager cosa si aspetta da Manageritalia?
«Poche cose: tenerci “vivi”, stimolarci, aumentare i webinar, fare rete e trovare il modo di dialogare. Non dobbiamo sentirci soli, dobbiamo aprirci e confrontarci con i colleghi quotidianamente. E poi tavoli di confronto aperti con le istituzioni, dove possibile visti i tempi dell’emergenza».
Ci sarà da ricostruire, quando sarà ora. Da dove ripartiremo e come?
«Ho il timore che alla fine ripartiremo esattamente come ci siamo lasciati, si sente spesso dire “non sarà più come prima”, ma anche se lo diciamo, in fondo non ci crediamo. La locomotiva del nostro Paese è il settore manifatturiero che vive se ci saranno investimenti in infrastrutture e incentivi concreti, non sussidi (il piano Industria 4.0 in questo senso è stato eccezionale negli anni scorsi, speriamo venga ulteriormente sostenuto); e se l’export resiste. La qualità delle nostre produzioni, la nostra presenza nella produzione di macchinari/impianti è fondamentale; dipendiamo dai mercati esteri e il rischio che alcune economie si chiudano per sostenere l’industria interna è forte; si parla già negli Stati Uniti di un futuro fatto dalla catena di fornitura delle grandi aziende solo “a stelle e strisce”».
Intanto cosa si può fare per prepararci al meglio e limitare i danni?
«Non sederci, mantenerci attivi, fare tanti webinar, parlare con i clienti e pensare alle migliori strategie per la ripresa, in primis lato commerciale. La torta in ogni settore si ridurrà, se manteniamo la nostra quota di mercato inevitabilmente caleremo, quindi dovremo avere la capacità di fidelizzare ancora di più i clienti, attrarne di nuovi e magari dovremo andare a cercare altre torte in settori vicini a noi, innovando e allargando la proposta sempre con competenza e leva strategica, oggi e domani».
L’Italia riuscirà a sfruttare gli investimenti per la ripresa per colmare il gap che ha in termini di trasformazione digitale con i principali competitor?
«Sono da sempre un portabandiera dell’italianità, ma su questo tema ho la forte sensazione che il gap aumenterà purtroppo. Portiamo avanti la nostra trasformazione digitale, ma inevitabilmente saremo sempre dei follower. Se metteremo insieme però l’acquisita competenza digitale con la nostra capacità di progettare, con il nostro essere figli del Rinascimento, sapremo sicuramente competere! Anni fa un direttore di una branch cinese in Italia, nel settore dei macchinari agricoli, chiese a un mio amico formatore: “vorrei che nei suoi programmi formativi portasse la cultura del Rinascimento perché in aula troverà tecnici non solo italiani, ma anche di diverse nazioni europee e cinesi”. Il Rinascimento è solo italiano. La nostra qualità è mettere insieme le idee, le competenze, i saperi. Non saremo mai “numeri 1” in un tema specifico, ma possiamo esserlo nell’articolare insieme il tutto».