Millennials, opportunità o problema?

Li chiamano anche Generazione Y o Netgeneration, sono nati tra il 1980 e il 2000 e costituiranno nel 2020 la maggior parte della popolazione attiva. Alle aziende il compito di abbandonare vecchi paradigmi e trovare strade migliori per attrarsi e coinvolgerli

Mai negli anni precedenti abbiamo assistito a un tale dibattito su una categoria demografica. Una semplice ricerca su Google riporta in 0,56 secondi ben 24.400.000 referenze. Cosa significa? Perché questo bisogno di analizzare, capire, sezionare? Questi giovani sono così diversi dalla generazione precedente?
Se dovessi fare delle considerazioni partendo da quanto vivo e respiro nel mio lavoro di ogni giorno, direi che i millennials sono soprattutto fonte di un’attonita preoccupazione: nel 2020 costituiranno la maggior parte della popolazione attiva (oltre il 50% sul totale della forza lavoro) e le organizzazioni aziendali stanno cercando la strada migliore per aprire un canale di comunicazione fino a oggi ancora poco chiaro.

Generazione di forte cambiamento
Vale la pena a questo punto ricordare che il termine millennials si riferisce a una categorizzazione creata all’interno di studi di marketing per descrivere la popolazione nata tra il 1980 e il 2000, e per inquadrarne gli stili di vita e di acquisto, fortemente influenzate dal rapido sviluppo tecnologico. Il termine è stato poi preso in prestito da diversi studi sociologici che delineano i tratti di una generazione di forte cambiamento e rottura rispetto a modelli sociali precedenti, cresciuta in un sistema economico mutevole e instabile a causa del susseguirsi, dal 2008 in avanti, di una serie di crisi finanziarie. Un universo alquanto sconosciuto, quindi, che pone innumerevoli sfide sia in termini organizzativi sia gestionali. Per la prima volta forse nella storia ci troveremo a dover guidare un team di persone che non solo non condivide un background culturale con noi (a causa dell’elevata mobilità internazionale), ma ha un set di valori profondamente diversi dal nostro.
Da qui la necessità imprescindibile di chiedersi quali siano le peculiarità di questa popolazione, le sue caratteristiche, gli obiettivi, i credo, persino quella di interrogarsi rispetto ai nostri stessi pregiudizi, alimentati da considerazioni personali o massmediatiche. Insomma, qual è il mondo che stiamo per incontrare e con il quale non soltanto dovremo convivere ma cui dovremo passare il testimone in un prossimo futuro?

Competenze elevate e specifiche
Sia la letteratura in merito (numerosissime sono le ricerche e le pubblicazioni che possiamo trovare sul tema), sia soprattutto l’osservazione nella quotidianità, ci portano a evidenziare che i millennials hanno sicuramente investito molto sulla propria formazione personale, grazie a percorsi scolastici ed esperienziali variegati, molteplici, supportati sicuramente da genitori più che ben disposti in questo senso. La percezione comune, infatti, è che il biglietto di accesso al mondo del lavoro presupponga, oggi più di ieri, un insieme di competenze elevate e specifiche.

I millennials all’interno delle organizzazioni
Il paradosso, quindi, è che se nel nostro ruolo genitoriale abbiamo spinto per costruire set sempre più raffinati di cui dotarli (multilinguismo, master di specializzazioni, esperienze in paesi stranieri ecc.), nel momento in cui ci troviamo ad affrontare questi giovani nel ruolo di manager rimaniamo spiazzati di fronte a tanta expertise. Dalle survey interne, nelle aule di formazione, nei corridoi, sui social e in qualsiasi luogo fisico o virtuale, emerge come il primo fattore di demotivazione di questa popolazione sia il non sentirsi parte di un percorso di crescita, orientato a un miglioramento continuo di sé e a un concreto sviluppo della propria leadership. È evidente, quindi, che il fenomeno che si sviluppa nell’inserimento di queste figure all’interno dell’organizzazione sia proprio una difficoltà oggettiva, una sensazione di brusca frenata tra l’investimento precedentemente effettuato e la richiesta dell’azienda nella quale si va a operare.

No posto fisso, sì valorizzazione del tempo personale
Il rapporto inizia subito in salita, quindi. Non tanto e non solo per la precarietà data dai contratti di stage, ma per la non comprensione dell’organizzazione che i valori precedentemente ricercati, quale quello del posto fisso, sono stati soppiantati dalla ricerca di una contrattazione che tenda a valorizzare maggiormente il tempo personale, elemento fondamentale di crescita e di sviluppo, oltre che la soddisfazione come benefit da vivere hic et nunc e non posticipabile nel futuro. La stessa definizione classica di obiettivo, come elemento a supporto della motivazione, tende ad essere superato in quanto per i millennials è decisamente più importante che il progetto intero dell’azienda in cui si trovano sia aderente a una visione di vita ben precisa, indipendentemente dalle singole attività o iniziative.

Choosy a chi?
Lo spirito fortemente internazionale e aperto dei millennials, alimentato da una cultura social, parte integrante del loro background, porta questa popolazione verso un’assoluta sensibilità a tematiche riguardanti aspetti di sostenibilità e responsabilità sociale. La maggior parte di loro, infatti, esclude a priori la scelta, nella ricerca di una collocazione lavorativa, di aziende considerate poco etiche sul piano sociale o ambientale. Abituati a leggere la realtà attraverso le valutazioni di coetanei e a compiere le proprie scelte di consumo sulla base di rating precisi, sono attenti a quella che è definita la brand reputation delle organizzazioni; non choosy, quindi, ma decisi a perseguire i propri ideali di vita personale e professionale. La qualità è anteposta alla quantità e alla produttività fine a se stessa.

Il ruolo dei manager
Per i manager alle prese con la gestione di gruppi sempre più numerosi composti da millennials diventa evidente il bisogno di essere innovativi nel comunicare con queste preziose risorse, iniziando a riflettere su quali vecchi paradigmi sia necessario abbandonare per esplorare nuove strade e acquisire un nuovo mindset funzionale ai tempi e alla cultura attuale.

Come attrarli?
Siamo di fronte a una nuova rivoluzione organizzativa? Probabilmente sì. La realtà che ci circonda, gli stili di vita che adottiamo nella quotidianità, l’approccio alla digitalizzazione, il modo di informare e comunicare sono molto più allineati alle esigenze e ai valori dei millennials di quanto non lo siano i sistemi aziendali.
Recruiting, analisi e valutazione del potenziale, percorsi di carriera, mbo, contrattualistica, formazione, per citare solamente tematiche relative al mondo hr, oggi mostrano spesso grandi limiti nell’attrarre, descrivere, coinvolgere e ritenere questo gruppo al tempo stesso molto uniforme e standardizzato e fatto di identità spiccate.

Ai millennials piace welfare e csr
Alcune organizzazioni si stanno già muovendo in questo senso. Hanno avuto il coraggio di superare schemi consolidati e orientarsi verso nuove forme di collaborazione e di dialogo (basti pensare ai numerosi progetti di welfare o di csr di alcune note aziende italiane attive nei settori dell’istruzione, del sostegno al reddito, salute e benessere, mobilità). Il mondo di questi ragazzi è lo sharing, la condivisione, funzionale a un obiettivo o a un progetto (breve o lungo che sia); è quello della fruizione rapida, della crescita continua e multicanale, dei percorsi individuali, delle relazioni (private o professionali) che funzionano solo nello scambio reciproco. È il mondo del “non mi interessa la carriera” che ho sentito personalmente in centinaia di situazioni organizzative. È il mondo in cui desiderano lasciare un’impronta, fare la differenza. È un mondo di grandissimo potenziale, dobbiamo solo aiutarli. E farci aiutare da loro.

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