Modelli di business: cinque consigli per evolvere

I sempre più frequenti cambiamenti impongono a tutti di ripensare, e spesso reimpostare, il proprio business. Ecco come farlo in modo pratico e iniziare subito
Modelli di business cinque consigli per evolvere

Fernando G. Alberti, professore ordinario di Strategia aziendale, Liuc

Nel 2020, nell’ambito del Global Insight Panel di MIT Technology Review, lanciammo una survey per verificare quante imprese stessero considerando un cambiamento del proprio modello di business all’indomani dello scoppio della pandemia: ne risultò una percentuale addirittura pari al 77%. Certo, uno shock macro come quello mosse molti, se non tutti, a riconsiderare il proprio modello di business o a introdurre innovazioni di varia portata per arginare o assecondare gli sconvolgimenti in atto. Popolare, tanto da divenire abusato, fu il concetto di “resilienza” aziendale, ovvero la capacità di cambiare il proprio modello di business, prima che divenga necessario farlo. Insomma, evolvere è (quasi) un must. Ecco cinque consigli per iniziare oggi stesso, al meglio.

1 – Guardare al futuro – Investire nella futures literacy, così da essere abituati e confidenti nell’uso degli strumenti di strategic foresight per anticipare i cambiamenti nei modelli di business e rendersi a prova di futuro.

Investire nella futures literacy, così da essere abituati e confidenti nell’uso degli strumenti di strategic foresight per anticipare i cambiamenti nei modelli di business e rendersi a prova di futuro. Cambiare per tempo, preparandosi al futuro con processi di strategic foresight e formando i manager alla futures literacy – l’alfabetizzazione al futuro – ancora ampiamente assente nelle nostre imprese grandi e piccole. Ciò non significa solo adottare una strategia duale che alterni exploration (di nuovi modelli di business) ad exploitation (dell’attuale modello di business), ma saper leggere i segnali deboli, identificare i trend, comprenderne gli impatti e saper disegnare scenari futuri alternativi. Nessuno sa cosa ci riserverà esattamente il domani. Il futuro è multiplo e non lineare, ma attraverso l’alfabetizzazione su ciò che potrebbe accadere possiamo allenare la nostra organizzazione a ragionare su possibili stati futuri e agire in modo proattivo, promuovendo per tempo innovazioni. Il cambiamento parte dal verificare sotto quali ipotesi, riguardo al futuro, l’attuale modello di business tenga, mettendo in discussione anche quelle implicite che diamo per scontate – i cosiddetti ghost scenarios – che, se non verificate, potrebbero compromettere la tenuta della nostra strategia. Come dice Roger Martin, nella strategia non è importante ciò che è vero, ma ciò che dovrebbe esserlo.

2 – Aggiustamenti o rivoluzioni? Distinguere tra i fattori che richiedono un costante e continuo adattamento del modello di business e dell’organizzazione, e i veri e propri cambiamenti di paradigma, in grado di rendere obsoleti i modelli di business attuali.

Il cambiamento del modello di business è certamente l’essenza stessa della strategia, che fa della ricerca continua e incessante dello strategic fit il perno delle attività di un manager. Occorre saper trasformare il proprio modello di business affinché il vantaggio competitivo offerto sia sempre allineato ai fattori critici di successo espressi dal segmento di clientela servito e alle risorse e competenze di cui dispone la propria organizzazione. Si tratta di un delicato e costante gioco di equilibrio, tanto che il mio mentore Michael E. Porter utilizza la metafora del giocoliere per definire l’essenza della strategia. Tutti i manager sono dunque chiamati ad essere giocolieri, impegnati a interrogarsi su come innovare costantemente il proprio modello di business e come introdurne di nuovi, anche perché l’innovazione affascina e il business-as-usual stanca. Tuttavia, come ha sapientemente affermato Sandy Baruah, «non cambiamo mai quanto pensiamo di voler cambiare e non cambiamo mai quanto dovremmo». Spesso, la dilagante retorica nei modelli di business non si accompagna a profonde riflessioni attorno alle implicazioni organizzative che l’innovazione porta con sé, richiedendo altrettanti cambiamenti nelle strutture, nei processi e nelle competenze. Se, dunque, è igienico condurre un costante fine-tuning del modello di business, introducendo mutamenti che consentano di mantenere sempre lo strategic fit, altra cosa è introdurre un nuovo modello. Digitalizzare i processi, ricercare la sostenibilità ambientale delle attività aziendali, promuovere pratiche di “diversity, equity and inclusion”, lavorare sulla omni-canalità, ripensare tempi e spazi del lavoro sono solo alcuni esempi di allineamenti costanti e necessari all’evoluzione del contesto, che possono certamente sfociare in cantieri gravosi e impegnativi, ma che in sé non necessariamente implicano l’introduzione di nuovi modelli di business.

3 – Non tutte le innovazioni fanno per noi – Evitare di inseguire ogni singola innovazione (input) cercando di incorporarla nel proprio modello di business, cogliendo il quadro complessivo (output) e l’emergere di possibili paradigm shift che richiedono modelli di business completamente nuovi.

È proprio su questo fronte che ho lavorato nell’ultimo libro[1], la cui sintesi e anticipazione è apparsa proprio sulle pagine di questa rivista[2] e in una serie di articoli apparsi su Harvard Business Review Italia[3]. Dalle nostre analisi emergono, in particolare, sette discontinuità che segnano la fine di alcuni tratti distintivi del paradigma precedente e ci fanno interrogare su quelle certezze di lunga data che per decenni o secoli hanno plasmato i modelli di business precedenti. Attenzione che non ci riferiamo semplicemente a tecnologie dirompenti o innovazioni radicali prese singolarmente, quali l’artificial intelligence o il machine learning, l’internet of things o la stampa additiva. Il lavoro da noi compiuto integra innovazioni radicali nelle tre sfere del progresso sociale (informazioni, macchine e materiali) e propone una lettura tematica e non per singolo driver, mostrando gli output, gli impatti congiunti delle innovazioni e non i singoli input. Come ha efficacemente sintetizzato Philip Kotler, al centro del nuovo paradigma da noi studiato c’è il concetto di prossimità, secondo cui la produzione di valore avviene sempre più vicino a dove emerge la domanda[4]. Quanto profondamente dovrebbero cambiare i modelli di business se tutti potessimo avere ciò che vogliamo prodotto e consegnato immediatamente e convenientemente, indipendentemente dal grado di personalizzazione preteso e con minimo, se non nullo, impatto ambientale? Farmaci sintetizzati ad personam davanti al paziente stesso, carne coltivata direttamente nella cucina del ristorante, ricambi stampati quando e dove servono, musica composta al momento dell’ascolto in funzione dell’atmosfera o delle emozioni dell’ascoltatore, tutto il sapere del mondo a portata di click e così via. In molti settori siamo già nel pieno di questo scenario. Si tratta di disporre di modelli di business in cui l’offerta si manifesta quando e dove emerge la domanda.

4 – Per cambiare ci vuole tempo – Un processo lungo che va iniziato per tempo e con un allineamento progressivo tra strategia e struttura. Allenare la propria organizzazione al cambiamento significa introdurre la cultura della sperimentazione in azienda.

Cambiare il proprio modello di business, soprattutto quando si vogliono accogliere tutte le discontinuità competitive sopra tratteggiate e andare verso modelli proximity, significa ripensare profondamente le proprie organizzazioni. Ad ogni nuovo paradigm shift, diverse nuove tipologie di lavoro e organizzazione del lavoro emergono e altre scompaiono. Se adottare nuove formule di revenue streams o modificare la comunicazione sul mercato sembrano essere elementi più immediati di un cambiamento del modello di business, modificare la cultura aziendale e le politiche di gestione del personale, ma anche le proprie strutture e meccanismi operativi, i ritmi e gli spazi di lavoro, gli stili di leadership e la gestione dei team, il set di competenze necessarie, ruoli e funzioni è certamente più oneroso e occorre partire per tempo. L’organizzazione è senz’altro un abilitatore del cambiamento, ma può essere anche una zavorra: asset, competenze e routine richiedono tempi più lunghi per essere modificati e troppo spesso si assiste a cambiamenti incompiuti per l’erroneo presupposto che l’organizzazione possa seguire velocemente e facilmente il cambiamento tratteggiato.

5 – Farsi tante domande – Bilanciare le tante riunioni in cui si cercano risposte (basate su analisi di dati, troppo spesso retrospettivi) con altrettante riunioni in cui ci si pongono delle domande (orientate al futuro e alla messa in discussione delle attuali regole del gioco competitivo e dell’attuale campo di gioco). Occorre imparare a porsi le domande giuste e avere il coraggio di farlo.

Incamminarsi lungo il processo che potrebbe condurre a un cambio di modello di business significa non solo vedere prima degli altri le discontinuità future, ma anche imparare a porsi le giuste domande. Quanto spesso si mettono in discussione quelle regole del gioco ormai tacite e consolidate – ovvero il framework dominante nel proprio settore – che vengono applicate da anni, supponendo che si perpetuino per sempre? Cosa succederebbe al nostro business se cambiasse radicalmente la tecnologia alla base del prodotto o servizio? È possibile intravvedere qualche seme di una simile discontinuità in quello che concorrenti, startup o imprese esterne al settore stanno facendo? Esistono già prodotti o servizi sostitutivi, anche radicalmente diversi, ma che puntano a risolvere lo stesso problema o soddisfare lo stesso fabbisogno sul mercato? Esplorare il futuro può consentire non solo di anticipare se e come cambieranno le regole del gioco di un business, offrendo opportunità di innovazione nel proprio modello di business, ma anche suggerire come possa cambiare il campo di gioco stesso. Occorre allenarsi a pensare cosa potrebbe implicare allargare i confini dell’attuale settore. Cosa in futuro potrebbe favorire una contaminazione tra settori e l’estensione dei confini dell’attuale settore? Quali nuovi concorrenti potrebbero affacciarsi nel settore, al di là di quelli diretti e conosciuti con cui ci si confronta ogni giorno? Da dove potrebbero provenire? Per chi potrebbe essere attrattivo il nostro attuale business e perché? Cosa potrebbe facilitare la caduta delle barriere all’entrata nel settore? Perché alcuni segmenti di mercato ad oggi non comprano il nostro prodotto o servizio? Cosa glielo impedisce? Quali condizioni dovrebbero avverarsi in futuro nell’arena competitiva perché si possa allargare anche a questi nuovi segmenti?

Guardare al presente con gli occhi del futuro

Ora che è evidente un cambio di paradigma all’orizzonte, che richiederà l’adozione di modelli di business e organizzazioni radicalmente nuovi da parte di tutte le imprese, grandi e piccole, occorre prendersi un momento per chiedere al proprio io futuro, tra dieci anni: cosa si sarebbe potuto fare meglio per prepararsi? Quali scelte si sono fatte in questi dieci anni – per sé stessi, per il proprio team, per la propria azienda – per rimanere competitivi, modificando il proprio modello di business?

1] Alberti, F.G. e Belfanti, F. (2023), The End. Le sette discontinuità che cambiano per sempre le organizzazioni, Milano, Franco Angeli. Disponibile gratuitamente qui.
[2] Alberti, F.G. e Belfanti, F. (2023), “The End? La fine di un’epoca e l’inizio di un’altra”. Dirigente di luglio/agosto.
[3] Alberti, F.G. e Belfanti, F., “Allenare l’organizzazione con gli esercizi di futuro”, ottobre 2023; “Le sette grandi discontinuità che cambiano per sempre la competitività delle imprese”, ottobre 2022, Harvard Business Review Italia.
[4] Wolcott, R.C. e Krippendorff, K. (2024), Proximity. How coming breakthroughs in just-in-time transform business, society, and daily life. NYC:
Columbia Business School Pub.

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