Open to risk management

La gestione del rischio come leva strategica del business: consigli e passi falsi da evitare

Siamo soliti associare il termine “rischio” a connotazioni negative, intendendolo come una minaccia derivante da eventi o processi che possono interferire con o danneggiare l’attività aziendale (downside risk). Tuttavia, è importante riconoscere l’esistenza anche del “rischio positivo”, cioè quello legato all’innovazione e al cambiamento, che può generare opportunità e valore per l’impresa (upside risk). Considerando questa doppia sfaccettatura del termine, il Risk Management può essere definito come l’insieme delle azioni intraprese dalle organizzazioni per gestire il livello di rischio associato alle proprie attività commerciali e all’azienda nel suo complesso. Questo approccio ha una dimensione gestionale poiché aiuta a identificare i rischi connessi a scelte strategiche e operative specifiche e definisce le modalità per farlo (Marco Giorgino, Full Professor of Financial Markets & Institutions and Financial Risk Management Politecnico di Milano). La visione gestionale del rischio rappresenta un’evoluzione recente, poiché in passato ci si focalizzava principalmente sul punto di vista assicurativo, esternalizzando la gestione dei rischi a compagnie assicurative per proteggersi da possibili incidenti e minacce.

Oggi, il Risk Management è diventato una disciplina interna all’azienda e richiede un approccio proattivo che non solo identifichi le sfide e le opportunità, ma che integri anche una strategia di gestione. È evidente che negli ultimi anni le tipologie di rischi/opportunità a cui è esposta un’impresa si sono ampliate, ad esempio, considerando l’impatto ambientale delle tematiche ESG o la cybersecurity, che coinvolge sia gli asset fisici che quelli digitali utilizzati nelle operazioni informatiche. In questo contesto, la figura responsabile della gestione del rischio non può limitarsi ad essere un “Insurance Manager”, ma deve possedere competenze manageriali e una profonda comprensione del business, dei mercati finanziari in cui opera e dei competitor. Questo perché è essenziale che collabori con i vertici aziendali e il resto del management nella definizione delle scelte strategiche, che non devono riguardare solo la continuità operativa e gli obiettivi a breve termine, ma avere una prospettiva più ampia.

Ci sono molte similitudini tra il ruolo proattivo del Risk Manager e quello dell’esperto di comunicazione di crisi. Entrambi si occupano delle potenziali problematiche aziendali e sviluppano strategie che tengono conto non solo della mitigazione ma anche delle opportunità. Entrambi lavorano in stretta collaborazione con le diverse figure manageriali per garantire allineamento nelle scelte strategiche e tattiche da adottare. Un aspetto cruciale per entrambi i ruoli è la comunicazione interna. Nella fase proattiva di identificazione dei rischi, è fondamentale coinvolgere le diverse unità operative aziendali, così come condividere le strategie e le tattiche per prevenire, mitigare o gestire potenziali crisi. Creare canali di comunicazione semplici e intuitivi per coinvolgere i dipendenti è un approccio innovativo e partecipativo che non solo responsabilizza l’individuo, ma diventa fondamentale per il monitoraggio.

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Per comprendere appieno l’importanza del Risk Management e della comunicazione di crisi nelle decisioni strategiche aziendali, prendiamo in considerazione una delle crisi che ha suscitato notorietà durante l’estate scorsa: la campagna “Open to Meraviglia” promossa dal Ministero del Turismo e dall’Enit per promuovere l’Italia come destinazione turistica. Questa vicenda è stata ampiamente discussa anche dal grande pubblico e possiamo elencare alcuni degli errori principali.

Idea: l’idea non era originale, poiché la Danimarca aveva precedentemente utilizzato quadri famosi per promuovere il proprio paese;

Branding: mancanza di brand protection (le azioni con cui, quando si crea una campagna, si assicurano parallelamente i diversi profili sui social network e i domini dei siti, per evitare che qualcun altro li utilizzi con fini diversi) che ha generato profili fake che prendono in giro la campagna e i suoi protagonisti;

Esecuzione: sono stati utilizzati contenuti provenienti da archivi, con un evidente errore nel video che pubblicizzava una cantina in Slovenia;

Pubblico: sono stati acquistati follower falsi su Instagram e like sui post per gonfiare i risultati, un approccio inefficace e poco autentico;

Affidamento diretto: non è stato indetto un bando; l’agenzia Armando Testa è stata incaricata direttamente poiché il compenso era di 1.000 euro al di sotto della soglia per l’affidamento diretto (costo campagna, 139.000 euro). Scelta alquanto discutibile, visti i risultati.

Per un’analisi approfondita della campagna, si consiglia di consultare il video di Matteo Flora. Ma cosa avrebbero dovuto considerare un Risk Manager e un esperto di comunicazione di crisi? Come ha sottolineato Matteo Flora, in questa campagna, “è in gioco la dignità di un’intera nazione e quello che rappresenta nel mondo”, quindi prima di intraprendere un’azione strategica di questa portata, è essenziale valutare i rischi e le opportunità in modo completo e integrato. L’innovazione può portare opportunità, ma i rischi non considerati, come in questo caso, possono danneggiare la reputazione di un Paese. Ecco alcuni punti chiave:

Obiettivo: lato Ministero/Enit, qual è l’obiettivo finale della campagna? È promuovere il Paese, non farlo conoscere. Non stiamo parlando di brand awareness ma di engagement dei potenziali consumatori. A tal proposito, è stato detto che l’azione obiettivo era “l’arrivo degli utenti sul portale Italia.it, motivo per cui la Venere è stata offuscata durante l’estate”. E dunque quali sono i meccanismi che permettono di raggiungere l’obiettivo? Se la risposta è “tramite i social media”, qualcuno si è chiesto quali sono i rischi di veicolare su quelle piattaforme una campagna? La risposta è NO, altrimenti non avrebbero commesso il banale errore di sottovalutare la brand protection e di essere totalmente impreparati al dileggio. Inoltre, abbiamo visto come sia importante porsi degli obiettivi di lungo termine e non puntare al risultato immediato. In questo senso, comprare fake follower/like è l’esempio di cosa non serve minimamente fare.

Conoscenza del mercato: posto che l’Italia è senza dubbio una delle destinazioni turistiche più ambite, quali sono gli altri player e le tendenze che emergono? Come si muovono i competitor diretti e indiretti e con che risultati? Da una semplice analisi emerge come il “revenge travel” sia archiviato e occorra focalizzarsi, ad esempio, verso il trend del turismo consapevole e olistico che predilige mete poco conosciute e mezzi di trasporto sostenibili (il consumatore è disposto a pagare di più per una scelta sostenibile). Di questo, che è uno dei trend più importanti, non vi è alcun riferimento nella campagna, eppure ci sono moltissime opportunità da cogliere e altrettanti rischi da prevedere.

Pubblico di riferimento: a chi è rivolta la campagna? Di cosa ha bisogno il pubblico, cos’è di suo interesse? Come sopra, la campagna sembra parlare a tutti (senza successo) e a nessuno. Manca completamente la segmentazione e l’analisi delle personas di riferimento. Se non si conosce l’interlocutore, è impossibile definire una comunicazione efficace, ed è impossibile prevedere i rischi che tale comunicazione può generare. Ecco perché la risposta “social” è stata il dileggio su ogni piattaforma. Ovviamente, senza alcuna risposta da parte dei diretti interessati, senza alcuna azione di mitigazione. La trovata della Venere che, dopo essere sparita per tutta la stagione estiva, spiega che era “intenta ad appendere manifesti nelle stazioni e aeroporti” è una banalità che a sua volta ha creato hype intorno all’inadeguatezza di chi gestisce la campagna.

Testimonial: siamo sicuri che, nel mondo, una fake Venere di Botticelli che si atteggia da Chiara Ferragni (foto della pizza sul lago di Como) venga 1. Riconosciuta 2. Compresa 3. Seguita? Quali sono i rischi di affidare a un personaggio fake la narrazione del paese?

Spokesperson: chi risponde in caso di crisi? Il ministero, l’Enit, l’agenzia che gestisce la campagna? Finora l’unica risposta è arrivata da un’imbarazzante pagina sui quotidiani dell’agenzia Armando Testa, dove si cavalca il “parlarne anche male, basta che se ne parli”. Sicuramente, il ministero dovrà riferire, essendoci un’indagine della Corte dei Conti del Lazio.

Gestione delle crisi: è essenziale avere un piano di gestione delle crisi ben definito, con chiari responsabili e procedure da seguire in caso di problemi. La comunicazione in risposta alle critiche e ai problemi deve essere gestita in modo efficace e tempestivo.

Alla luce di questi pochi punti (l’analisi dovrebbe essere ovviamente più lunga e complessa), è chiara la mancanza sia di risk management che di comunicazione di crisi. Non sono stati fatti studi di settore, ricerche di mercato, focus group, interviste mirate ad esperti di settore (turismo, social media, relazioni internazionali) indispensabili per avere un quadro completo dell’ambiente in cui ci si muove e valutare con criterio rischi e opportunità di ogni azione intrapresa. Non è possibile ignorare il risk management e la comunicazione di crisi, e nemmeno farli gestire da persone non formate. Questi ruoli sono strategici e devono essere prima di tutto riconosciuti e poi affidati a professionisti. 

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