Pandoro-gate Ferragni: crisi e brand reputation

La nota influencer e la gestione di una vicenda che fa tuttora parlare. Un’analisi con qualche punto fermo

Dopo alcune settimane, analizziamo le reazioni dell’influencer per capire se e come questa vicenda mal gestita possa essere considerata una crisi aziendale. Sono passate alcune settimane dall’inizio del “pandoro gate” di Chiara Ferragni ed è possibile fare una prima disamina della vicenda in termini di comunicazione di crisi e brand reputation.

I fatti sono noti: a partire da dicembre 2022, in seguito a un articolo di Selvaggia Lucarelli, l’Antitrust inizia a indagare sulla promozione di Balocco “Chiara Ferragni e Balocco insieme per l’ospedale Regina Margherita di Torino”, fino ad arrivare alla multa milionaria dello scorso 15 dicembre per pratica scorretta. Si lasciava intendere al consumatore che le vendite del pandoro fossero legate alla donazione, anche a causa del prezzo del pandoro griffato, rincarato di oltre il doppio rispetto al pandoro normale. La Procura di Milano ha aperto un fascicolo conoscitivo senza indagati e affidato alla Guardia di Finanza l’inchiesta. Anche le procure di Prato e di Trento indagano.

La prima cosa da determinare è se quella del pandoro-gate possa definirsi una crisi. Tecnicamente si parla di crisi quando è messa a rischio la continuità aziendale e l’esistenza stessa di un’azienda (in questo caso Fenice e TBS Crew, aziende che curano i marchi e i diritti relativi alla persona di Chiara Ferragni).

Dal 15 dicembre, l’imprenditrice digitale ha interrotto le attività sui social media per alcune settimane, smettendo di promuovere quindi le numerose aziende e brand con cui collabora. Il gruppo Safilo ha chiuso la partnership per la produzione di occhiali della linea Chiara Ferragni e, a parte Donatella Versace che si è espressa più a titolo personale che aziendale, nessuno dei partner commerciali di Ferragni è corso in suo aiuto.

La business continuity è senza dubbio stata intaccata, ma l’impero Ferragni è lungi dall’essere prossimo al crollo. La reputazione dell’influencer è quella che ne ha risentito di più, con conseguenze sulle attività di business che si evidenzieranno nei prossimi mesi. Tuttavia, parlare di distruzione completa del brand Ferragni è senza dubbio esagerato, anche perché Ferragni può ancora contare su una base milionaria di follower. Il sentiment della sua community non è sicuramente del tutto positivo in questo momento (il picco di sentiment negativo si è avuto il 15 dicembre con un 74%), ma a parte un calo fisiologico di circa il 6% dei follower (fisiologico perché normale in contesti di issue/crisi), il bacino di fidelizzazione degli utenti resta intatto. Siamo quindi di fronte a una crisi? La risposta è un “no” con un “sì”. Siamo di fronte a un issue non gestito fin dall’inizio che è esploso in modo preponderante sui media e ha destabilizzato il brand Ferragni (e le aziende che lo gestiscono), ma senza metterne a rischio l’esistenza.

È interessante capire come questa crisi (la chiameremo così per semplicità) potesse essere gestita sin dalla sua fase prodromica, mentre è stata sottovalutata, forse per un senso di intaccabilità che i brand molto potenti tendono ad avere. L’inchiesta di Lucarelli del dicembre 2022 non ebbe grande eco mediatica, tanto che la giornalista decise di non pubblicare quella sulle uova di Pasqua (che seguiva lo stesso principio di azione commerciale camuffata da beneficenza). Tuttavia, a luglio del 2023, le aziende di Ferragni vengono a sapere dell’inchiesta dell’Antitrust e ne leggono le carte. Decidono, compiendo un errore immenso, di non fare niente. Questo silenzio costerà caro dal punto di vista reputazionale. La prima cosa da fare quando si viene colti in flagrante è chiedere scusa, assumersi la propria responsabilità e spiegare quali azioni si intendono intraprendere per rimediare all’errore compiuto.

Se a luglio Ferragni avesse deciso di “metterci la faccia”, assumendosi tutte le responsabilità del caso, indipendentemente dalle successive decisioni che l’autorità avrebbe preso, sarebbe stata tutta un’altra storia, o perlomeno una storia con minori danni reputazionali. Si è preferito mantenere il silenzio fino allo scoppio del caso con la maxi multa, e la prima reazione non è stata certo da manuale. Con un post infastidito sui social, Ferragni si dice “dispiaciuta che ci si ostini a vedere del negativo in un’operazione in cui tutto è stato fatto in buona fede”, sottolinea il suo impegno in attività benefiche e il fatto che decide di impugnare la decisione dell’Antitrust. Un fulgido esempio di cosa NON fare quando si viene colti con le mani nel sacco.

  1. “Siete voi che vedete il negativo, io ho agito in buona fede.” Se l’Antitrust sanziona con multe milionarie te e l’azienda con cui hai collaborato, il negativo non è un’opinione, ma un dato di fatto.
  2. “Io faccio e farò sempre beneficenza.” La stessa tecnica è stata utilizzata a partire da dicembre 2022 quando, dopo l’inchiesta di Lucarelli, Ferragni decise di rendere pubblica la donazione in favore di un’associazione per la tutela di donne vittime di violenza, arrivando addirittura a calcare il palco dell’Ariston. Molti fra i follower, commentatori e altri personaggi famosi hanno sottolineato che la beneficenza si fa, ma non necessariamente deve trasformarsi in un megafono “pro reputazione mea”. Inoltre, prestare la propria popolarità a favore di cause benefiche dovrebbe essere un’attività pro-bono, non retribuita con cachet milionari.
  3. “Ritengo ingiusta la decisione e la impugnerò.” Questa frase evidenzia la mancanza di pentimento e, anzi, cerca di far passare Ferragni come vittima.

Dopo questa terribile uscita, passano alcuni giorni, un periodo estremamente lungo durante il quale l’opinione pubblica calcifica il sentiment negativo.

Il 18 dicembre arriva il video di scuse (foto in alto da Instagram Chiara Ferragni), pubblicato sempre sui social media. Qui si notano diversi cambiamenti a partire dal mezzo utilizzato (video vs. stories), dalla prossemica e dall’inscenamento stilistico. Ferragni appare poco truccata, vestita con una tuta grigia (un colore spesso usato nei video di scuse), seduta a terra (non in posizione dominante guardando dall’alto in basso). Ha il viso provato e nel parlare singhiozza, quasi piange.

Il video segue una sceneggiatura predefinita:

  • VALORI: Parte dai valori del brand, sottolineando quelli insegnati ai figli e cercando di creare una dimensione famigliare in cui il pubblico possa identificarsi, quasi a voler dimenticare che si tratta di un’azienda milionaria.
  • SCUSE: Finalmente arrivano le scuse verso gli stakeholder. Tuttavia, sono arrivate tardi, molto tardi.
  • ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ: Derubrica alla comunicazione l’errore. Sarebbe stato meglio definirlo come è, un errore di management e di scelte aziendali.
  • AZIONI PER RIMEDIARE: Si impegna a non sovrapporre attività commerciali a quelle benefiche e fa una donazione pari al cachet percepito da Balocco, un milione di euro, verso l’Ospedale Regina Margherita. Tuttavia, la decisione di devolvere in beneficenza l’eventuale somma derivante da una revisione a ribasso della multa sembra un po’ un ricatto morale nei confronti dell’Antitrust piuttosto che un impegno sincero.

Sicuramente alcuni aspetti della comunicazione sono stati un po’ esasperati, ma a livello di messaggi, il video era da manuale. Infatti, il video ha un effetto, specie su quella parte di community che idealizza la celebrity, perdonandole qualsiasi errore, supportandola incondizionatamente e attaccando i detrattori. Si parla di “stan culture” per questo comportamento della parte più estrema di una fandom. Il video viene passato a setaccio dai media e dall’opinione pubblica, e inevitabilmente ne nascono anche fake news, come il sold-out della tuta grigia molto costosa.

Segue il periodo delle vacanze natalizie e il silenzio sui social da parte di Ferragni continua. Apparirà solo in un video del marito, in secondo piano, ma ciò basterà per sollevare polemiche (è troppo felice rispetto alla narrazione che la vedrebbe disperata per la vicenda).

Ai primi di gennaio, torna sui social senza sponsorizzazioni, ma utilizzando due asset comunicativi utili a coinvolgere il pubblico e a testarne il sentiment.

  • Con un suo selfie (che manifesta la necessità di attenzione), chiede alla community come sta, senza poi ripostare le risposte (un’analisi di sentiment neanche troppo nascosta).
  • Si avvale dell’arma di engagement più potente, i figli. Ancora una volta in primo piano all’interno di una vicenda in cui non centrerebbero nulla, ma utili a riportare l’attenzione sull’aspetto famigliare e materno di Ferragni.

Nel frattempo, Ferragni si è affidata a un’agenzia di comunicazione e ad altri professionisti per uscire da questa vicenda che ha avuto ripercussioni sulla sua reputazione e ne avrà dal punto di vista del business.

È di oggi la notizia che Coca Cola, partner commerciale con cui Ferragni aveva già registrato una pubblicità destinata a essere trasmessa durante il Festival di San Remo, ha deciso di non utilizzare il materiale promozionale prodotto con l’influencer. Nei prossimi mesi ci si renderà meglio conto del reale impatto del pandoro-gate sul business, anche se l’impero è lungi dall’essere raso al suolo.

La lezione che le aziende possono trarre da questa vicenda è molteplice:

  1. Intervenire ai prodromi di un issue può evitare l’escalation in crisi.
  2. Mai rispondere di istinto a critiche o problematiche.
  3. Il timing della risposta è parte della risposta e ne valida l’autenticità.
  4. Mai sottovalutare l’effetto domino che una crisi può generare. Nel caso di Ferragni, alla vicenda del pandoro-gate si è affiancata quella di Giochi Preziosi con le uova di Pasqua, e nonostante l’influencer abbia maldestramente cancellato i post dalla sua pagina Instagram, questa non sarà certo un problema di secondaria importanza.

 

 

 

 

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