Nel panorama industriale europeo, le aziende italiane sono celebri per una caratteristica distintiva: la capacità di customizzare il prodotto. Customizzare significa adattare un bene o un servizio alle esigenze specifiche del cliente, spesso fino a trasformarlo in un pezzo unico. Questo approccio nasce dalla forte vocazione manifatturiera del nostro Paese, radicata nel saper fare artigiano, nella creatività e nella cultura della flessibilità. Lo spiega Paolo Borghetti, CEO di Future Age, azienda di consulenza specializzata nell’evoluzione dei modelli organizzativi delle imprese italiane che segue da vicino per quel che riguarda i cambiamenti nei processi e nelle tecnologie.
In pratica, la customizzazione si manifesta in un’estrema varietà di configurazioni di prodotto, richieste da clienti che cercano soluzioni personalizzate, su misura, spesso fortemente differenziate rispetto allo standard. Non si tratta solo di piccole modifiche estetiche, ma di varianti funzionali, tecniche, applicative che impattano profondamente su progettazione, produzione, logistica e post-vendita.
Questo approccio, pur altamente apprezzato dal mercato, porta con sé la gestione di lotti minimi di produzione, cioè quantità estremamente ridotte — a volte persino un solo pezzo. I lotti minimi, se non governati con metodo, possono generare inefficienze: aumentano i tempi e i costi di set-up, complicano la pianificazione, rallentano i flussi, rendono difficile automatizzare i processi, e rendono la tracciabilità più onerosa. Tutto questo si traduce in un potenziale impatto negativo su produttività e marginalità.
Al contrario, come spiega Paolo Borghetti, molte realtà industriali del Nord Europa, in particolare in Germania, si fondano su un modello opposto: la standardizzazione. Pochi prodotti, replicabili su larga scala, con processi fortemente ingegnerizzati e digitalizzati, supply chain ottimizzate, organizzazione snella e ripetibile. Il vantaggio è chiaro: maggiore efficienza, controllo dei costi, tempi certi, facilità di scala.
Il modello italiano, più flessibile e creativo, ha spesso faticato a coniugare queste caratteristiche con la solidità organizzativa. Quando ogni ordine diventa un progetto a sé, ogni cliente una nuova sfida tecnica, l’organizzazione aziendale può trovarsi sotto pressione. La forza distintiva della customizzazione rischia così di trasformarsi in una complessità difficile da gestire.
La soluzione non sta nel rinunciare alla customizzazione, né nel forzare modelli rigidi di standardizzazione, ma nel costruire un modello ibrido, capace di mantenere la flessibilità e la centralità del cliente, integrandole con una struttura organizzativa e tecnologica più solida
Questo passaggio richiede un approccio di change management: rivedere processi, ruoli e logiche decisionali, favorire una cultura orientata alla standardizzazione dei metodi più che dei prodotti, e promuovere l’integrazione tra le diverse funzioni aziendali. Serve poi un forte investimento nell’informatizzazione dei processi, attraverso sistemi ERP evoluti, configuratori di prodotto, MES di fabbrica, strumenti di pianificazione avanzata e piattaforme collaborative.
L’obiettivo è rendere scalabile anche la personalizzazione: creare piattaforme di prodotto modulari, automatizzare la gestione delle varianti, digitalizzare il flusso delle informazioni, e garantire coerenza tra la promessa commerciale e le capacità produttive. Così la customizzazione non sarà più un freno, ma un vero motore di valore.
Il modello ibrido è già una realtà in molte imprese italiane che stanno evolvendo, mantenendo intatta la loro anima creativa ma rafforzando la struttura. Il futuro della competitività industriale italiana passa da qui: dalla capacità di unire creatività e metodo, flessibilità e disciplina, unicità̀ del prodotto e solidità del processo.
Pianificare significa saper prevedere, coordinare e controllare le attività aziendali per raggiungere obiettivi concreti, ottimizzando risorse e tempi.
Nei programmi Digital Mentor di Future Age è stato ideato un modello di pianificazione basato su 5 fasi.
FASE 1- STRATEGIA: raccogliere i dati storici e le tendenze di mercato per prevedere i volumi e capire su quali prodotti punta l’azienda.
FASE 2 – PIANIFICAZIONE DELLA PRODUZIONE: stabilire cosa produrre, quanto e quando, partendo dalla domanda e confrontandoli con le capacità produttive
3 FASE – GESTIONE DELLA CAPACITA’ PRODUTTIVA: Valutare se le risorse (macchine, manodopera, fornitori) sono allineate con la produzione pianificata. Questo permette di evitare colli di bottiglia e di sfruttare al meglio i tempi morti
FASE 4 – PIANIFICAZIONE DEGLI ACQUISTI: Coordinare gli approvvigionamenti con i piani produttivi, evitando sia l’eccesso di scorte che le rotture di stock. Questo è particolarmente importante con i lotti minimi dove la tempestività è tutto.
FASE 5: CONTROLLO E REVISIONE CONTINUA: La pianificazione va monitorata e aggiornata regolarmente, gli indicatori chiave (KPI) che misurano l’efficienza e la redditività.