Pronti alla ripresa

La gestione dell’emergenza, le misure del governo, le azioni di Manageritalia e dei manager associati, spesso anche loro“eroici”. L’Europa, la politica, le istituzioni e il ruolo del management per una ripresa vera, capace di ripartire da quello che serve per dare un futuro al Paese. Lo scenario sarà molto diverso e dobbiamo disegnarlo tutti insieme, manager in testa. Ne parliamo con il presidente di Manageritalia Guido Carella

Come ha gestito l’emergenza Manageritalia in termini operativi?

«Ancora prima del lockdown ufficiale, abbiamo da subito messo in sicurezza personale e associati, continuando a fornire i servizi quasi solo a distanza, in smart working, e potenziando quanto era già disponibile online. A livello politico, abbiamo formato un comitato di emergenza permanente composto da me, dai due vicepresidenti e dal segretario generale. Siamo in continuo contatto con i presidenti delle Associazioni territoriali, delle nostre organizzazioni e dei Fondi contrattuali, con i quali facciamo un comitato di presidenza a settimana. Fortunatamente, abbiamo un sistema decisionale snello che ha permesso di gestire la crisi nell’Organizzazione e ci permette di pensare al dopo crisi in termini subito operativi». 

Le richieste di supporto dei manager sono aumentate? E dove si sono focalizzate?

«In breve tempo siamo stati impegnati con richieste di informazioni e consulenze su aspetti lavorativi e misure in via di definizione del decreto Cura Italia, come lo smaltimento delle ferie, l’utilizzo dello smart working, i congedi parentali e altro ancora. Poi, e la cosa mi inorgoglisce per il senso di responsabilità sotteso, sono cominciate ad arrivare richieste di assistenza per diminuirsi momentaneamente la retribuzione, in modo da gravare meno sull’azienda e magari contribuire a integrare la cassa integrazione dei collaboratori. Tutto questo mentre il lavoro per loro di fatto è aumentato e, soprattutto, si è complicato. Gli interventi sulle retribuzioni devono essere fatti con l’assistenza di Manageritalia per evitare problemi sia al dirigente (tagli inopportuni, danni alla pensione ecc.), sia alle aziende (contenziosi e questioni legali). Insomma, occorre evitare il “fai da te” e appoggiarsi a noi, siamo qui per questo».  

Cosa avete fatto nell’immediato per mettere a fattor comune i principi di solidarietà sottesi al contratto collettivo e comunque a un’organizzazione come la vostra?

«Questa è stata una bella sfida, ma certo non facile. Abbiamo costruito con Assidir, il nostro intermediario assicurativo dedicato agli associati, una polizza covid-19 che abbiamo offerto a tutti gli associati under 70, sperando non la utilizzino mai. Abbiamo ottenuto, dialogando con le controparti, maggiore flessibilità nel riscatto dei fondi contrattuali Negri e Pastore per chi si dovesse trovare in difficoltà economiche. Poi, ancora, un allungamento dei termini di presentazione delle richieste di rimborso del Fasdac, un provvedimento dovuto. Tutto in pochi giorni. E stiamo pensando anche al futuro, su come preparare l’Organizzazione ad essere di supporto ai nostri iscritti nel prossimo difficile periodo». 

E a livello istituzionale come vi siete mossi e con quali obiettivi?

«Anche questa è stata una bella sfida. Noi manager siamo sempre considerati “privilegiati” e non bisognosi di aiuti pubblici. Ma in questo caso abbiamo trovato maggiori aperture da subito, facendo capire che i dirigenti, i quadri e gli executive professional – gli autonomi che hanno elevate professionalità – sono risorse determinanti per la ripresa del Paese e che anche loro vanno tutelati. Il nostro rappresentare manager e alte professionalità anche in questo caso ha fatto sinergia e qualità più del solito. Questa è anche la forza della nostra community e una declinazione dello stare insieme, qui come in tutti gli altri campi. Quindi, tutte le misure inserite nel decreto Cura Italia non hanno avuto distinzioni di sorta. Poi, il fatto di agire di concerto con Cida eleva alla massima potenza la forza della nostra azione. Molto ostico è stato far capire che anche la cassa integrazione con causale covid, concessa questa volta a tutti i lavoratori dipendenti, dovesse comprendere anche i dirigenti. Le regioni stanno interpretando in modo difforme questa misura rispetto ai dirigenti. Seguiremo la vicenda, anche se su questo abbiamo puntato più come principio che come obiettivo. Perché a un dirigente, che comunque anche in questi frangenti deve lavorare eccome, conviene più tagliarsi la retribuzione anche del 50% che prendere la cassa di 1.200 euro lordi». 

Che idea si è fatto del mese e mezzo di emergenza in Italia?

«Mi sono sentito orgoglioso di essere italiano. L’impegno degli operatori sanitari, della Protezione civile e di tutti quelli che hanno messo in gioco la loro sicurezza è stato eroico. Gli italiani, seppure con un’iniziale ritrosia da parte di troppi, hanno poi giocato in ogni componente il loro ruolo. Tanti, come noi, hanno lavorato con l’azienda chiusa, e quindi in smart working, per mettere tutto in sicurezza, limitare i danni ed essere pronti per la ripresa. Ma voglio ricordare anche i colleghi della grande distribuzione che hanno sostenuto il Paese con le derrate alimentari, i colleghi della logistica che hanno fatto in modo che tutto fosse distribuito nei tempi giusti, quelli del terzo settore che hanno coordinato eserciti di volontari, i dirigenti delle strutture mediche private, chi dirige le strutture informatiche che hanno permesso a tanti italiani di lavorare da remoto. E da ultimo, ma non per ultimo, quei direttori d’albergo che hanno ospitato nelle loro strutture pazienti covid o personale medico infermieristico. Insomma, dopo gli eroi di frontiera, medici e infermieri, forze dell’esercito e della pubblica sicurezza, non voglio dimenticare chi nelle retrovie ha permesso di andare avanti nonostante tutto e ha predisposto che il Paese alla ripresa ricominci a correre. Poi, la solidarietà di tantissimi cittadini, commovente, ognuno secondo le proprie disponibilità e possibilità. Cito anche il governo, e in particolare il premier Conte, che si è dimostrato all’altezza. Certo, non mancano zone d’ombra».  

A cosa si riferisce?

«All’inconcepibile contrasto operativo e verbale tra stato e regioni, alla troppa voglia di qualcuno di giocare per sé e non per il Paese, di continuare a voler essere protagonista a ogni costo, perfino in un frangente come questo. E poi, anche forse da parte del governo e dello stato, il non aver saputo da subito gestire al meglio comunicazione e ruoli. Troppi esperti e virologi, molti veri e alcuni presunti, a dire tutto e il contrario di tutto, creando un litigio perenne e dannoso quando bisognava invece avere più coordinamento, anche per far capire da subito a tutti che non si stava scherzando e che anche stare in casa era un dovere verso se stessi e tutti. Anche l’informazione non ha certo brillato e svolto appieno il suo ruolo, che non sta nello spettacolarizzare tutto, ma nel darne una giusta dimensione. Ma degli errori ci sarà tempo di fare un’analisi a freddo. Poi sono emersi tanti, troppi dei nostri gap, difetti, riforme non fatte o fatte in modo sbagliato. Su tutto i continui tagli alla sanità, ma non solo, che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, i mancati interventi sulla spesa pubblica improduttiva e l’evasione fiscale e la corruzione, vero cancro di questo Paese che qui abbiamo visto in tutto il loro effetto negativo. E per chi come noi manager paga, e da sempre, tasse, contributi ecc. questo fa male, molto male. Anche dal colmare questo vulnus dovremo ripartire». 

I manager come si sono mossi?

«Stiamo raccontando le loro storie in diretta, con interviste pubblicate sul portale Manageritalia.it e condivise poi sui nostri social per far vivere a tutti quello che stanno facendo i nostri associati che operano in vari settori e territori. In questo momento vivono situazioni molto diverse, tutte particolarmente intricate. C’è stato un ottimo riscontro. Abbiamo fatto indagini, uscite poi anche sui media nazionali. Dal nostro ascolto quotidiano, dalle indagini, dallo storyliving, abbiamo una rappresentazione molto realistica del loro impegno attuale, della sofferenza, ma anche e soprattutto della resilienza e della capacità di essere da subito volti a costruire la ripartenza e la ripresa. Io ho direttamente parlato con tanti di loro e le situazioni sono varie, tutte difficili, ma siamo in buone mani». 

E l’Europa, la solidarietà, la gestione dell’emergenza e del futuro?

«L’Europa è il futuro di noi italiani e di tutti gli europei. Dovevamo recuperare il tempo perduto per diventare davvero e sempre più una comunità non solo economica ma anche sociale. Non lo abbiamo fatto prima, speriamo che almeno quest’emergenza serva per mettere in campo quella solidarietà oggi ancora più determinante e quei valori comuni indispensabili per stare insieme e dare all’Europa e agli europei una vera anima politica e sociale. Dobbiamo uscire dalla crisi insieme, da soli sarebbe tutto più difficile e forse impossibile, soprattutto per noi. Sia per superare la crisi, sia per avere poi voce in capitolo nello scenario mondiale. Anzi, anche questa è una delle pecche di un’Europa troppo debole per muoversi con autorevolezza a livello globale». 

Quindi è soddisfatto?

«Le premesse, al netto di qualche incertezza iniziale, sono buone. La Bce è scesa in campo subito con un quantitative easing di dimensioni ragguardevoli che ha da subito mantenuto basso il costo del nostro debito. Un programma di acquisto distinto, con una dotazione complessiva di 750 miliardi di euro che, al momento, avrà durata fino alla fine del 2020. Poi l’Unione europea, dopo averne discusso troppo a lungo, ha messo sul piatto 1.000 miliardi. E noi siamo stati i maggiori beneficiari. Certo, adesso viene il difficile: gestire la fine dell’emergenza e la ripresa e far sì che questo sia un modo per consolidare il progetto e la realtà europea e un’anima vera anche a livello politico e sociale. Le sfide sono tantissime, ma affrontarle insieme è determinante». 

Quali sono gli obiettivi di Manageritalia per il
futuro? 
«Supportare i nostri associati al meglio in questo difficile momento. Lo faremo con quello che abbiamo già, che è tanto, in termini di contratto e di servizi per la professione e la persona. Lo faremo come sempre ascoltandoli e dialogando con loro per delineare nuove idee, progetti e azioni per supportarli e per portare il loro contribuito a livello politico, istituzionale, economico e sociale. Vogliamo e dobbiamo delineare il futuro con loro e in sinergia con tutti gli attori di quell’Italia produttiva che crede nella competenza, nel merito, nell’etica e nei valori della civiltà occidentale evoluta. Con i manager e le alte professionalità vogliamo e dobbiamo essere protagonisti di una ripresa che, alla luce di quanto accaduto, dovrà cambiare tanto, tantissimo, e dobbiamo trascinare nel cambiamento tutti. Tanti, troppi nodi sono venuti al pettine e ognuno deve fare la propria parte: la politica, le istituzioni, la business community e la società. E noi vogliamo farlo da protagonisti, ci spetta!». 

Su cosa puntate?

«Direi che il must deve essere ricostruire partendo da alcune fondamenta che non reggono più. Sono le solite: spesa pubblica improduttiva, burocrazia, giustizia, evasione, corruzione… Una su tutte e su tutto. Bisogna aiutare e sostenere tutti senza se e senza ma. Ma per farlo bisogna puntare su chi ha le caratteristiche per farci fare il salto, perché solo creando sviluppo e ricchezza potremmo essere e diventare sostenibili in tutti i sensi». 

Di manager ci sarà bisogno per uscire dalla crisi e abbracciare una ripresa e, visto che ci siamo, una profonda trasformazione dell’economia?

«Certo, non ho dubbi, i manager sono e saranno determinanti. È chiaro che dovremo noi per primi mettere in campo un grandissimo sforzo per fare informazione, cultura e per convincere gli imprenditori e il Paese che i manager, così come la competenza, sono in ogni campo determinanti. Ma saremo facilitati se riusciremo tutti a ripartire da questi valori e se tante delle nostre imprese vorranno fare il salto e competere in un mondo nuovo e profondamente diverso, dove la sostenibilità economica, ma anche sociale e ambientale, sia un dovere e parte integrante della mission e delle strategie». 

Alla politica cosa chiede?

«C’è tanto, tantissimo da chiedere. Occorre ripartire da una politica alta e vera, ancora più indispensabile in una società moderna che dovrà riprendersi da una crisi epocale. Non si può vivere senza la politica, ma appunto per questo serve quella vera. Su tutto, e quest’emergenza ce lo ha insegnato con durezza, basta guardare solo al contingente, quando non al consenso facile e immediato, falsificando la realtà e promettendo quello che non è fattibile con danni enormi per tutto il Paese». 

Quale ruolo hanno e cosa devono fare invece le parti sociali?

«Le parti sociali, i famosi corpi intermedi, troppo a lungo esclusi e ultimamente messi ai margini, hanno come altri le loro colpe. Dovevamo farci sentire di più, lo abbiamo fatto poco e con una forza non sufficiente. Ma in un paese che deve risalire questa durissima china c’è bisogno di chi ascolta, dialoga, fa sintesi e rappresenta l’interesse di specifiche categorie. Certo, a patto che l’interesse di queste sia nobile e si sposi con quello nazionale. Non è più tempo per interessi corporativi, o solo e soprattutto per quelli. Poi, parlando di sindacati e del mondo del lavoro, il ruolo sarà decisivo, rapportandosi come partner e non come avversari con tutti gli attori, per cambiare profondamente questo mondo del lavoro ancora fordista e anacronistico. Basti pensare a come in pochi giorni abbiamo messo milioni di italiani a lavorare da casa, certo nell’emergenza e a volte con pressapochismo. Ma da anni ci diciamo che il lavoro deve cambiare modi, tempi, senso ecc. e non abbiamo mai fatto nulla o quasi. È bastata una necessità impellente per rompere in pochi giorni tutti gli schemi normativi, mentali e operativi che ci bloccano. E nell’emergenza, chi lo faceva già e con una vera gestione manageriale, ha mostrato il valore delle scelte fatte a suo tempo». 

Usciremo e come da questo brutto momento?

«Ne usciremo, e riusciremo prima e meglio se lo faremo tutti insieme, in Italia, in Europa e nel mondo. Guardiamo avanti e cerchiamo di cogliere le opportunità che si sono palesate, piuttosto che recriminare all’infinito e crogiolarci nelle disgrazie. Però serve davvero cambiare registro. Lavorare tutti insieme, dialogare, discutere, scontrarsi, ma sempre su basi razionali e fatti concreti. Basta giocare sporco con fake news, promesse irrealizzabili, orizzonte limitatissimo, litigi da bar… Ne va del futuro di tutti, delle giovani generazioni in primis». 

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