Quali competenze manageriali apprezzano i private equity

Un focus su sviluppo professionale, carriera e mercato del lavoro manageriale con Domenico Di Luccia, in occasione dell'appuntamento del 25 marzo di Friday’s Manager

Il mercato del lavoro manageriale, i percorsi di carriera, le skills oggi più richieste e un focus sul mondo dei private equity: ne parliamo con Domenico Di Luccia, amministratore delegato Di Luccia & Partners Executive Search, protagonista dell’appuntamento di venerdì 25 marzo dalle 12 alle 13, di Friday’s Manager di XLabor, la divisione di Manageritalia dedicata al mercato del lavoro.

Com’è oggi il mercato manageriale e cosa è cambiato e sta cambiando rispetto a prima?
«L’evoluzione del mercato è continua ma esistono delle caratteristiche fondamentali che i manager di successo posseggono: un sense of ownership di quanto si fa e un sense of urgency. Allineare i propri obiettivi di crescita professionale con quelli aziendali, con spirito di team, dedicando tempo a far crescere l’organizzazione e il proprio team. Un bravo manager deve sempre mirare a far crescere i propri collaboratori in modo che qualcuno il prima possibile possa prendere la propria posizione. Questo il segreto per avere successo ed essere pronto a una nuova posizione di maggiore responsabilità all’interno della propria azienda o in una nuova azienda. Viviamo in un mondo dinamico ed è necessario farne parte. Mai rimanere sulle proprie posizioni. Sempre aperti al dialogo, al confronto, all’ascolto, a valorizzare gli altri e a far crescere l’organizzazione insieme. Un principio ormai sempre più contemporaneo con particolare attenzione al rispetto delle diversità, di genere, di razza, di qualsiasi cosa. In Usa sta diventando eccessivo al contrario, ma è una forzatura necessaria per superare barriere oramai anacronistiche. A tutti i livelli e per tutti i ruoli, con la manifestazione di uguaglianza sia nelle responsabilità affidate per esempio a uomini o donne e sia nelle retribuzioni, ancora oggettivamente differenti se lo stesso ruolo lo ricopre una donna rispetto a un uomo».

Quali competenze ed esperienze più richieste?
«Le competenze più richieste rientrano nel modo di lavorare più che nella mansione in sé. Oggi viene richiesta una particolare attenzione ai manager di qualsiasi funzione di identificare aree di creazione di valore, quindi guardare sempre con spirito critico al modo in cui si svolge la propria attività per identificare nuovi modi di creare valore. Questo spesso si identifica con una trasformazione nel modo in cui vengono svolte le attività anche grazie a tecnologie innovative che consentono di svolgere compiti/attività/mansioni in modo sempre più immediato. Per questo la trasformazione digitale è sui tavoli di tutti i manager di qualsiasi funzione. Se dovessi indicare una competenza richiesta certamente indicherei la capacità critica di analisi delle proprie attività e di utilizzare la tecnologia per velocizzare/snellire/semplificare il modello di business della propria area di attività. Ciò che è richiesto ai manager oggi è capacità di analisi, che per chi lavora in ambito commerciale implica la capacità di analizzare, ad esempio attraverso l’applicazione dei big data, le abitudini di acquisto dei clienti, per chi in produzione l’analisi dei processi, per chi in Hr la descrizione delle competenze dei membri dell’organizzazione, e così a cascata sulle varie funzioni. Maggiore la capacità di creare valore grazie alla capacità di trasformare, maggiore la velocità di carriera e la visibilità sul mercato».

Viviamo in un mondo dinamico ed è necessario farne parte. Mai rimanere sulle proprie posizioni. Sempre aperti al dialogo, al confronto, all’ascolto, a valorizzare gli altri e a far crescere l’organizzazione insieme.

Volendo approfondire il mondo dei private equity, quali opportunità ci sono?
«L’ultimo report sul private capital menzionava come sul mercato gli investitori di private equity (e anche private debt) hanno miliardi di euro da investire. Cifre enormi che possono rappresentare un’accelerazione per la crescita di tantissime aziende, soprattutto le piccole e medie aziende che caratterizzano l’ossatura del nostro tessuto industriale. Per i manager ci sono opportunità di diverso tipo: per chi è in ruoli gestionali o di sviluppo, ci sono opportunità date dalla lettura del mercato e dall’identificazione di disegni strategici di aggregazioni che sono alla base delle strategie di investimento dei fondi. I fondi investono in un’azienda con l’obiettivo spesso di aggregarne altre al fine di creare valore attraverso maggiori dimensioni. Riuscire a guardarsi intorno, a capire come potrebbe realizzarsi nel proprio settore una strategia di aggregazione e presentarla a un fondo: questo consente di fare bingo. In questo modo si può veramente capitalizzare la propria esperienza guidando poi per il fondo il processo di buy-and-build, con significativi riconoscimenti economici e patrimoniali.

Poi i fondi, una volta identificato il manager a cui è affidata la guida del piano di crescita e di creazione di valore dell’azienda su cui investe, puntano a identificare un valido Cfo. Il presidio sulla finanza, sia in relazione al debito acceso per supportare l’investimento, sia nel monitoraggio continuo dei flussi di cassa, necessari a supportare la crescita, è fondamentale. I fondi sono degli istituti guidati da finanziari. Non entrano nella gestione. Non saprebbero neanche farlo. Non è il loro lavoro. Il loro compito è supportare con la finanza la strategia di crescita in genere per 5 anni. A quel punto capitalizzano il proprio investimento rivendendo la propria quota dell’azienda o ad altri fondi o a investitori industriali o quotandola in Borsa. Il Cfo ha 3 compiti fondamentali: garantire la credibilità dei dati, monitorare l’andamento gestionale, suggerendo spesso azioni correttive se le performance non sono in linea con le aspettative, gestire le fasi a volte sofisticate di build-up con numerose m&a e poi la exit (come ad esempio un Ipo).

Per questo, per potersi candidare a una posizione da Cfo in una partecipata di un fondo è necessario avere delle competenze che vanno al di là della semplice gestione amministrativa ordinaria dell’azienda. Bisogna migliorarsi continuamente e studiare le contemporanee implicazioni contabili e fiscali legate a operazioni di finanza straordinaria. Una volta assunti Ceo e Cfo, l’altro tassello importante per una partecipata del fondo è il direttore commerciale e il Business Development (M&A), a cui viene richiesta la crescita internazionale del business, quindi IT-Digital, HR, Produzione, Acquisti, Logistica ecc.».

I fondi sono degli istituti guidati da finanziari. Non entrano nella gestione. Non saprebbero neanche farlo. Non è il loro lavoro. Il loro compito è supportare con la finanza la strategia di crescita in genere per 5 anni. 

Come questi aspetti devono influire su percorsi di carriera e visibilità sul mercato dei manager?
«Essere informati, avere relazioni professionali al di fuori della propria società, studiare, oltre ovviamente lavorare per obiettivi in team. Credo siano questi gli elementi alla base della crescita professionale di ciascuno di noi. In California vige oramai il principio dell’open innovation, che implica arricchirsi dal confronto interno ed esterno al proprio perimetro lavorativo. Dalle relazioni interpersonali riceviamo spesso stimoli a fare le cose in modo diverso, e riceviamo anche informazioni sui trend e gli andamenti del proprio settore aziendale o funzionale. Inoltre partecipare a momenti di incontro rappresenta un’occasione per avere informazioni su possibili percorsi di crescita professionale anche al di fuori della propria azienda. Informazioni sul modo come interagire con decision maker di altri contesti. Viviamo in un tessuto sociale dove i percorsi di crescita professionale implicano il lavorare spesso con persone diverse in contesti diversi. Partecipare a momenti di confronto facilita l’interazione con nuove opportunità e facilita il modo per essere introdotti in nuovi contesti».

Dov’è il mercato manageriale e come frequentarlo?
«Il mercato manageriale è nella reputazione che ciascuno di noi deposita negli altri, nella credibilità che ciascuno di noi ha costruito negli anni di lavoro e di cui possiamo beneficiare nel momento in cui c’è una domanda di competenze in linea con quanto noi possiamo offrire, in linea con le nostre precedenti esperienze. La chiave per aprire una nuova posizione di carriera risiede in quanto i propri colleghi, ex-capi, collaboratori parlano bene di noi agli altri. Quello il goodwill professionale di ciascuno di noi, che rappresenta il vero valore professionale della persona. Qualsiasi ricerca parte attraverso il chiedere alle persone più direttamente conosciute. Anche gli head hunter iniziano chiedendo a persone che svolgono lo stesso ruolo in aziende simili. Inoltre, una technicality non banale dei processi di selezione è rappresentata dalla raccolta di referenze. Qualsiasi selezione o assessment di un candidato per una posizione termina con la raccolta di referenze. E nessuno, neanche il proprio miglior amico, mente quando referee. E poi ovviamene LinkedIn, dove descrivere al meglio le proprie esperienze in modo che i motori di ricerca di tutti gli head hunter, dalle 5 principali società mondiali (Egon Zehnder, Russell Reynolds, Spencer Stuart, Heidrick & Struggles, Korn Ferry) alle boutique più piccole, possano far emergere il proprio profilo quando parte una nuova ricerca. Prima gli head hunter avevano i database. Oggi i database sono anacronistici. Oggi c’è Linkedin, un database vivo a livello globale, che si autoalimenta continuamente, che usano tutti».

La chiave per aprire una nuova posizione di carriera risiede in quanto i propri colleghi, ex-capi, collaboratori parlano bene di noi agli altri. 

E gli head hunter quale ruolo hanno, come vanno approcciati… ?
«Gli head hunter vanno approcciati con moderazione. In genere noi lavoriamo per clienti, quindi inutile proporsi continuativamente se non si è chiamati. Utile però invece proporsi in modo da rimanere memorable. La cosa che suggerisco sempre ai candidati è di dare una prospettiva di unicità quando ci si presenta. Qualcosa per cui si è diversi. Un’esperienza particolare, un aneddoto, qualsiasi cosa, in modo da rimanere impressi. E sconsiglio tantissimo di presentarsi dicendo: sono Mario Rossi è voglio lavorare in Lussemburgo per Ferrero. Fondamentale nella propria presentazione l’aspetto umano, educato, possibilmente gentile. Perché quello è la chiave per far crescere i propri collaboratori ed essere allocabile da un’organizzazione su iniziative di creazione di valore sapendo che il candidato scelto lavorerà bene in team, per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, non i suoi personali. Un candidato troppo concentrato su se stesso può lavorare bene da solo, ma come Marchionne diceva sempre, le organizzazioni procedono a numeri pari».

Come stanno cambiando anche loro?
«Il ruolo dell’head hunter è cambiato totalmente nell’ultimo decennio. Oggi hanno prevalentemente un’esperienza consulenziale o da ruoli operativi o di linea. Bisogna aver avuto l’esperienza professionale in un ruolo per poter scegliere un candidato per quel ruolo. Quindi il colloquio non è più con un interlocutore che non sa bene di cosa si sta parlando quando si parla di una certa posizione, ma dovrebbe aver avuto la possibilità, svolgendo anche lui in passato quel ruolo, di conoscerne le dinamiche più tecniche e le criticità da superare. Ciascuno di noi head hunter ha poi ovviamente un proprio stile. Sicuramente il nostro è un mestiere che si deve fare con interesse. Bisogna avere attenzione verso gli altri. Grande interesse all’ascolto, più che capacità. Bisogna essere sinceramente interessati a capire l’altro e l’opportunità di inserirlo nel contesto organizzativo aziendale per cui si sta cercando la posizione, coniugando competenze tecniche e assessment valoriale nelle dinamiche organizzative aziendali. Non è mail una valutazione oggettiva del candidato; sempre solo un tema di fit con l’esigenza dell’organizzazione. È un lavoro bellissimo che consiglio a tutti ne abbiano interesse».

Bisogna avere attenzione verso gli altri. Grande interesse all’ascolto, più che capacità. Bisogna essere sinceramente interessati a capire l’altro e l’opportunità di inserirlo nel contesto organizzativo aziendale per cui si sta cercando la posizione, coniugando competenze tecniche e assessment valoriale nelle dinamiche organizzative aziendali.

A chiudere quanto conta davvero il merito per avere mercato e come renderlo palese?
«Il merito è tutto. Per fortuna. O comunque è sicuramente molto, molto di più di quanto fosse in passato. Per renderlo palese sempre utile nella propria presentazione descriversi attraverso i fatti: gli obiettivi raggiunti, le esperienze avute, contestualizzando il più possibile con elementi fattuali. Io non presenterei mai un candidato che non ritengo sia la migliore scelta professionale per l’azienda. Anche se ci fossero influenze esterne che possano indurre a favorire il cognato di o l’amico di. Anche nel nostro lavoro la reputazione è tutto!».

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