Vela e management: paralleli a gonfie vele

Molti aspetti della vela hanno tanto a che fare con i manager e il management. Ne parliamo con Luca Oriani, direttore del Giornale della Vela, velista, imprenditore e manager.

La vela diventa sport nazionale solo quando siamo ben piazzati in Coppa America. Ma questo sport ha numerosi aspetti da scoprire e capire, molti dei quali hanno tanto a che fare con i manager e il management. Ne parliamo con Luca Oriani, direttore del Giornale della Vela, velista, imprenditore e manager.

Com’è oggi in Italia il movimento velistico?

«Dal punto di vista agonistico va benissimo. L’Italia alle ultime Olimpiadi ha vinto la medaglia d’oro con delle barche volanti, in Coppa America Luna Rossa è arrivata in finale. Ma la vela non è solo agonismo spinto, è soprattutto una passione, un modo di vivere. E anche una medicina benefica senza controindicazioni. Come diceva il fondatore del Giornale della Vela nel 1975: “Mi ero accorto che andare a vela era un’evasione terapeutica senza essere un modo per evadere e per fuggire, ma per verificare, riflettere, decidere. Mi faceva sentire un uomo libero”.

Dal punto di vista numerico, la pandemia ha dato una spinta positiva grazie alle caratteristiche di protezione/sicurezza/libertà/ecologia insite nell’andare per mare con una barca. Grazie a questo, per la prima volta, si registra sul totale delle vendite di barche nuove e usate nel 2021 un 30% di acquisti, un dato sorprendente. Sempre per questi effetti, il noleggio di barche per una vacanza sul mare è in forte crescita. Grazie alla comodità e stabilità dei catamarani, nuove fasce di utenza si avvicinano al noleggio di una barca a vela: anche se non si è capaci di andare per mare, basta imbarcare uno skipper che fa da “autista”».

La vela è anche un business per chi opera direttamente nel settore, producendo barche, attrezzature, abbigliamento, organizzando eventi… Quanto vale?

«La stima di Confindustria Nautica per il 2021 è di 6 miliardi di euro per la totalità del settore nautico italiano, di cui circa 3 miliardi destinati all’export. Ma non tiene conto della ricaduta turistico-nautica che finisce nei dati del turismo tout court. E non tiene conto del segmento dell’abbigliamento di ispirazione velica, un vero fenomeno di culto che influenza il fatturato del segmento “casual/outdoor” di quell’industria. E neppure si tiene conto degli eventi velici, che sono centinaia e muovono migliaia di barche e centinaia di migliaia di velisti. Possiamo stimare che questo indotto della vela a 360º genera anche qui circa 3 miliardi di euro di fatturato annuo».

Un mondo attrattivo anche per gli sponsor, perché?

«Perché è un target perfetto per gli esperti di marketing. I velisti esprimono valori positivi in linea con i tempi: ecologia, libertà di azione e pensiero, attività all’aria aperta, voglia di scoperta, capacità di risolvere problemi, propensione al rischio calcolato. Senza dimenticare che chiunque va in barca a vela ha, per forza, buona capacità di spesa».

Cosa vuol dire vela per il velista? Quali sono le sirene di Ulisse che si leggono negli occhi e nei racconti di tanti che ce ne parlano quasi come filosofia di vita?

«Sono passati i tempi romantici in cui si identificava il velista come un sognatore, un contestatore della società. Oggi rimane tutta la poesia insita nell’andare su di un oggetto che galleggia sull’acqua spinto solo dal vento, dominando gli elementi insondabili, mare e meteo. Ma andare a vela è soprattutto un piacere intenso e intimo che appaga l’essere umano. E, grazie all’aiuto della tecnologia, è diventato molto più facile condurre una barca a vela. Una volta per navigare verso una destinazione bisognava saper leggere una carta nautica, saper tracciare una rotta, riconoscere il segnale di un faro. Oggi basta un Gps cartografico. Addirittura, oggi ci sono sistemi che automatizzano l’ormeggio della barca e che aiutano a regolare le vele nel modo giusto».

La vela attrae anche molti imprenditori e manager che la praticano e la vivono spesso quasi come un’esperienza di vita personale utile e sinergica anche a quella professionale?

«Impossibile fare un elenco che non escluda qualcuno di importante. Direi che l’emblema dell’imprenditore-velista oggi è Patrizio Bertelli. L’amministratore e maggiore azionista di Prada, azienda da 3,5 miliardi di euro, ha sfruttato la sua passione per la vela facendola diventare un potentissimo strumento di marketing. Luna Rossa è una case history di successo di sponsorizzazione sportiva, un modello per i manager, il nome più noto della vela per il grande pubblico. E poi Bertelli, a titolo personale, è il più grande collezionista di barche a vela storiche del mondo. Una galleria d’arte navigante!».

Quali i tanti paralleli tra fare impresa e fare vela?

«La vela non è solo una terapia riconosciuta per il recupero di ragazzi difficili o con problemi motori. L’equipaggio di una barca a vela adotta gli stessi meccanismi che rendono un’azienda efficiente e vincente. Un equipaggio è un team dove ogni persona ha un ruolo ben definito che influenza il lavoro dell’altro. Bisogna lavorare insieme in sintonia, seguendo il sistema causa/effetto. Lo skipper non è altro che il ceo dell’azienda: colui che decide. Si vince e si perde tutti insieme, ma è il decisore finale che si prende oneri e onori e poi li condivide con l’equipaggio. La differenza che rende così efficace fare un team building aziendale su di una barca è che se sbagli ti fai male fisicamente. E poi, tendi a stare molto più attento per il futuro».

Da tempo la vela è diventata una delle palestre utilizzate per fare formazione aziendale e manageriale. Come funziona?

«Sono innumerevoli le offerte di formazione aziendale che guardano a questo sport come a un momento di formazione. Consiglio di verificare con grande attenzione il programma per capire se è solo una “gita al mare” o effettivamente un ausilio alla crescita aziendale. In questo caso il corso ha anche una parte agonistica, indispensabile per mettere sotto stress l’equipaggio e, quindi, avere concretamente un riscontro alla formazione aziendale».

Anche la vela non è sfuggita al virtuale, tant’è che poco più di un anno fa varie squadre delle associazioni di Manageritalia si sono sfidate in una indimenticabile regata virtuale. Quali, in questo caso, i fattori vincenti e coinvolgenti?

«Il Giornale della Vela lo scorso anno ha organizzato una vera e propria regata, una competizione di oltre una settimana navigando nel Mediterraneo. Bastava avere un device per partecipare. È stato un successo incredibile con oltre 50.000 partecipanti da tutto il mondo. Manageritalia ha costituito i suoi team e non solo ha dato battaglia per la vittoria assoluta, ma si è anche ingaggiata una gara tra le barche virtuali. Semplice capire il perché del successo. La vela virtuale trasmette gli stessi valori positivi e unici di cui abbiamo parlato».

Ci tolga una curiosità: velisti si nasce o si diventa, e perché?

«Come in ogni cosa, c’è chi è più portato e chi meno. Oggi, grazie alla tecnologia, anche chi non è particolarmente predisposto, alla fine, non fa figuracce. Ma una cosa è unica: a vela ci puoi andare da quando compi 3/4 anni sino a quando riesci a salire in barca. Nessuno sport ha questo vantaggio».

Perché un manager, magari anche con il suo team, dovrebbe considerare la vela come una delle possibili esperienze per lavorare meglio e con un vero gioco di squadra?

«Condurre una barca con equipaggio in una regata con altre barche ha gli stessi meccanismi della vita di un’azienda. C’è un gruppo di persone che collabora, al comando di un responsabile globale, con la missione di raggiungere il miglior risultato possibile. E arrivare primo, se possibile. O comunque rimanere nel gruppo di testa. Ciascuno mette del suo per raggiungere l’obiettivo e si sente parte della squadra, come meccanismo indispensabile. Tutto l’equipaggio deve sempre stare attento ai concorrenti che cercano di superarli. Cosa c’è di più simile a un team vincente di un’azienda, di un equipaggio di una barca in regata?».


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