La “crisi”, o per meglio dire la “crisi economica”, è oggi una nozione che condensa molteplici significati, fenomeni, situazioni personali e rappresentazioni collettive. Chi è diventato adulto è uscito dal sistema scolastico e si è affacciato nel mondo del lavoro al tempo della “crisi” tende tuttavia a considerare questo termine così carico di significati da perdere senso e utilità. Per chi ha oggi tra i venti e i trent’anni la “crisi” è un termine opaco e inutile in quanto registra un dato di fatto, un dato per scontato, non è vissuta come un passaggio contingente a cui seguirà una «ripresa», ma è uno “stato delle cose”. La nostra ricerca ha coinvolto un campione di giovani ed è frutto dell’analisi di dati raccolti tra il 2013 e il 2016 su un campione di giovani residenti nell’area milanese, di alcune scuole della Lombardia e di altri espatriati in Gran Bretagna. Lo studio ha messo in luce una serie di strategie anticrisi adottate da questi ragazzi.
1 – NAVIGARE NEL PRESENTE CON RISORSE SCARSE
Al disincanto dei giovani ventenni milanesi coinvolti in questo studio corrisponde il tentativo di gestire l’instabilità, il pluralismo e la contingenza delle opportunità e dei rischi, con tattiche definibili come exit strategies volte a evitare di trovarsi “incastrati” in situazioni di impasse; strategie focalizzate sull’adattarsi localmente, quindi non sul semplice adattarsi e arrendersi alla situazione, sul navigare nel presente come specifica abilità di orientamento, sul rinunciare a investire risorse in una generica protesta, dai più considerata inutile davanti a una situazione percepita come, per ora, non modificabile, per tentare di cambiare la situazione dal basso con iniziative che tentano di pensare altrimenti il sistema produttivo.
La strategia principale è dunque quella di connettere tra loro risorse scarse e di situarsi là dove i flussi di informazione e di opportunità si coagulano temporaneamente. Non si tratta semplicemente di confidare nella casualità di essere al posto giusto nel momento giusto, ma di una capacità personale che si impara sul campo e che è correlata a quanto si è già appreso, alle risorse educative e famigliari, alla capacità di navigare nella scarsa visibilità della “tempesta perfetta” della crisi.
Quanto questo costituisca una nuova forma di abilità e di competenza, quanto invece sia una forma di “self-management” e di interiorizzazione subalterna del modello economico vigente, è un dibattito aperto e le interviste da noi raccolte si prestano a entrambe queste interpretazioni. In ogni caso la capacità di navigare nella crisi non è solo un’abilità soggettiva ma una risorsa che si apprende con l’esperienza.
2 – LAUREA, RISORSE CULTURALI, ESPERIENZE PERSONALI
In particolare la ricerca ha evidenziato che aver studiato, avere una laurea, leggere, viaggiare (ad esempio con i programmi Erasmus), essere aperti alla differenza culturale, avere la possibilità di conoscere persone nuove e diverse da quelle del proprio ambiente di origine, sono tutte competenze e attitudini di carattere generale che consentono di essere maggiormente in grado di interpretare i processi di globalizzazione e le loro conseguenze.
Rispetto ai giovani che hanno solo un diploma professionale, i giovani laureati intervistati hanno mostrato di avere maggior familiarità con la tecnologia, di essere più coinvolti in situazioni di multiculturalismo quotidiano, di saper passare con velocità da un codice all’altro, di aver capito che la capacità di adeguarsi alla molteplicità e variabilità dei contesti della crisi, richiede la capacità di tradurre, di mediare, ciò che si è appreso in un contesto nelle esigenze richieste da una diversa situazione. Il contesto socio-economico trasformato dalla “crisi” richiede infatti capacità di orientamento, ma anche l’apertura necessaria a governare l’imprevisto, la capacità di saper cogliere le opportunità dello specifico contesto in cui ci si trova – anche quando questo è complesso e avaro di risorse – senza accontentarsi e senza rinunciare alla propria capacità di aspirare.
Non si tratta quindi dell’antica “arte di arrangiarsi”, ma di una strategia per sopravvivere nella difficoltà e nell’incertezza che richiede competenze particolari, che non sono solo di natura professionale o legate a saperi specifici, quanto piuttosto competenze esistenziali, prodotte da risorse culturali che possono aiutare a leggere e interpretare meglio la situazione, a cogliere le opportunità là dove non sembrano esserci, a connettere risorse scarse tra loro eterogenee.
La formazione universitaria, meglio ancora se accompagnata da risorse culturali già presenti in famiglia, aiuta a sviluppare la fiducia in se stessi, a essere realisti senza cadere nel pessimismo. Pertanto, oggi più che in passato, le disuguaglianze sociali e le diverse capacità di far fronte alla crisi, non si misurano solo in termini di risorse economiche – sebbene queste rimangano, ovviamente, fondamentali – ma sempre di più anche in termini di risorse culturali e di capacità personali.
3 – RASSEGNAZIONE ATTIVA
Questo determina anche una specifica caratteristica generazionale, data da peculiari modi di identificazione e di immaginazione, legate alla capacità di “situarsi” nell’attuale contesto socio-economico, dove alla “normalizzazione” della crisi corrispondono diverse risposte che non corrispondono né all’adattamento passivo, né al rifiuto e alla protesta, quanto piuttosto a una capacità di traduzione e interpretazione del presente, che vive nel paradosso della «rassegnazione attiva».
4 – INVESTIRE SU LAVORO E PROFESSIONALITÀ
La possibilità di entrare e di restare nel mondo del lavoro costituisce infatti la fonte di maggiore incertezza sia il principale antidoto all’insicurezza, ed è qui che l’essere contemporaneamente realisti e capaci di aspirare misura le abilità di navigazione di ciascuno. Anche se i consumi possono costituire una fonte di gratificazione e di sicurezza (finché si riesce ad avere uno stile di vita che concede l’acquisto di tecnologia digitale o le uscite serali con gli amici, la percezione della propria incertezza economica può essere allontanata), non sono loro a costituire la bussola per la navigazione nel contesto attuale. Investire sul lavoro e una professionalità rimane la principale sfida in un ambiente mutevole e imprevedibile ed è in questo campo che le diseguaglianze legate al livello di istruzione o anche al genere si fanno più evidenti: ad esempio le ragazze con basso livello di istruzione non sono solo più segregate nel mercato del lavoro ma soffrono più spesso di una bassa autostima e di atteggiamenti di auto-colpevolizzazione per i propri insuccessi scolastici.
Per concludere, è possibile affermare che sebbene tutti gli intervistati di questa ricerca tendano a percepire in modo individualizzato le difficoltà sistemiche, e a investire prevalentemente nelle proprie capacità personali, l’intreccio delle categorie del genere e dell’istruzione mostra diverse posizioni, percezioni e reazioni davanti alla crisi. Anche se per tutti la tattica è quella di allontanare il senso del fallimento, saper vedere e costruire connessioni è un lavoro il cui esito traccia nuove gerarchie sociali, diventando fonte di inclusione o di esclusione.
Paola Rebughini, Enzo Colombo e Luisa Leonini – Università degli Studi di Milano. La ricerca è stata pubblicata nel libro Giovani dentro la crisi (Guerini, 2017), a cura dei tre autori di questo articolo.