Per capire come mai la sicurezza psicologica favorisca le performance di alto livello, dobbiamo prendere in considerazione la natura di gran parte del lavoro nelle organizzazioni di oggi: le mansioni routinarie, modulari e prevedibili stanno declinando sempre più, mentre un numero crescente di compiti richiedono di saper giudicare, saper gestire l’incertezza, suggerire nuove idee e coordinarsi e comunicare con gli altri. Questo significa che esprimersi è cruciale per la riuscita degli obiettivi. Così, in qualunque contesto, salvo quello dei mestieri più ripetitivi o solitari, la sicurezza psicologica è intimamente legata alla capacità di rendere le persone libere di raggiungere l’eccellenza.
Cosa dicono le ricerche
Quando, nel 1990, ho iniziato a studiare 50 gruppi di lavoro – tra cui personale di vendita, addetti alla produzione e allo sviluppo di nuovi prodotti e dirigenti – in un’industria manifatturiera, il mio scopo era quello di stabilire una relazione tra la sicurezza psicologica e i comportamenti di apprendimento. Con mia grande soddisfazione, ho rilevato che i gruppi di lavoro che agivano in un clima di alta sicurezza psicologica ottenevano risultati più alti, un fattore che si è confermato valido per entrambe le tipologie di misurazione. I ricercatori Markus Baer e Michael Frese hanno portato questa domanda al livello di analisi successivo, mostrando che la sicurezza psicologica ha aumentato la performance di 47 aziende campione tedesche di media entità in contesti sia industriali sia legati ai servizi. La performance è stata misurata in due modi: primo, cambiamento longitudinale della redditività (mantenendo costante la redditività economica precedente), secondo, valutazione del raggiungimento degli obiettivi da parte dei dirigenti. La ricerca mostra anche una correlazione tra sicurezza psicologica e innovazione. Per esempio, Chi-Cheng Huang e Pin-Chen Jiang hanno raccolto dati da questionari offerti a 245 membri di 60 team della divisione ricerca e sviluppo di numerose organizzazioni del settore tecnologico taiwanese e hanno rilevato che quelli psicologicamente sicuri sbaragliavano di netto le altre.
Il progetto di Google: un fattore chiave per i team di successo
Infine, uno studio pluriennale dei gruppi di lavoro di Google, chiamato in codice “Progetto Aristotele”, ha rilevato che la sicurezza psicologica è il fattore cruciale che spiega come mai alcuni gruppi lavorino molto meglio di altri. I ricercatori del sofisticato gruppo di “People Analytics” interno a Google hanno passato in rassegna la letteratura accademica sull’efficacia del lavoro di squadra. Capitanati da Julia Rozovsky, i ricercatori hanno esaminato il percorso di studi, gli hobby, le amicizie, i tratti della personalità e altre caratteristiche delle persone oggetto dello studio, che appartenevano a 180 gruppi sparsi nelle varie divisioni dell’azienda. Non hanno trovato niente: non è emerso nessun particolare miscuglio di personalità, competenze o background culturali che potesse spiegare come mai alcuni gruppi ottenessero risultati migliori di altri. Sembrava che trovare una risposta al perché alcuni avevano successo e altri fallivano fosse impossibile. Poi, come ha scritto Duhigg, «Quando Rozovsky e i suoi colleghi di Google hanno incontrato il concetto di sicurezza psicologica nella letteratura accademica, all’improvviso tutto ha acquistato un senso». Hanno scoperto che anche i più intelligenti e potenti dei dipendenti di Google avevano bisogno di un contesto psicologicamente sicuro per poter contribuire al lavoro da svolgere con tutto il talento di cui disponevano. I ricercatori hanno individuato anche altri quattro fattori che aiutano a spiegare la performance dei gruppi: obiettivi chiari, colleghi affidabili, incarichi significativi sul piano personale e la convinzione della rilevanza dell’impatto del proprio lavoro.
Cosa determina l’engagement sul lavoro
L’interesse dei dirigenti per l’engagement dei dipendenti ha preso piede di recente, partendo dalla riflessione – quest’ultima ormai di lunga data – sulla soddisfazione dei dipendenti come dato significativo per prevedere il turnover. Oggi la maggior parte dei manager ha capito che la soddisfazione dei dipendenti è un elemento importante, ma incompleto. Il parametro della soddisfazione, che si riferisce a quanto siano felici o appagati i dipendenti, non coglie il loro livello di coinvolgimento emotivo né la motivazione che può spingerli a fare un lavoro migliore. L’engagement, definito come il livello di passione per il lavoro e di impegno nei confronti dell’azienda, rappresenta invece un indice della disponibilità a impegnarsi nello svolgimento di un compito. Le misurazioni convalidate del coinvolgimento dei dipendenti sono ampiamente disponibili e la maggior parte dei dirigenti riconosce che si tratta di un fattore essenziale per ottenere performance aziendali forti. Gli studi più recenti sull’engagement dei dipendenti comprendono anche delle parti dedicate alla sicurezza psicologica. Per esempio, un’analisi condotta su una compagnia di assicurazioni del Midwest americano ha rilevato che la sicurezza psicologica è un fattore predittivo del coinvolgimento dei lavoratori e, a sua volta, questa viene favorita dai rapporti di sostegno tra colleghi. Un altro studio ha preso in esame la relazione tra il coinvolgimento dei dipendenti e la loro fiducia negli alti dirigenti dell’azienda in cui lavorano.
“L’unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa” (Franklin D. Roosevelt)
Forse l’idea di un luogo di lavoro del tutto privo di paura è un’utopia. Le persone provano una naturale avversione di fronte alla possibilità di perdere prestigio davanti a capi e colleghi. Tuttavia, oggi le imprese che aspirano a creare ambienti di lavoro senza paura sono una realtà in crescita. I leader di queste aziende riconoscono che, quando la conoscenza è una fonte essenziale per la creazione di valore, la sicurezza psicologica è critica per la mission d’impresa. In quel senso, l’organizzazione senza paura è più qualcosa a cui aspirare continuamente che non un obiettivo da raggiungere una volta per tutte. È un viaggio dinamico e infinito. La sicurezza psicologica si può manifestare in molti modi sul luogo di lavoro. Quando una squadra, una divisione o un’azienda raggiungono la sicurezza psicologica, il loro comportamento apparirà notevolmente schietto, specialmente se paragonato alle storie delle persone che invece sono costrette a gestire le difficoltà interpersonali e discorsive create dalla paura e dalla sfiducia. Per questa ragione può darsi che queste “belle storie” appaiano relativamente semplici
La schiettezza vera: il caso di Pixar
Con ogni probabilità, chi di noi aveva più di tre anni nel 1995 – o poco dopo – sentì parlare di Toy Story, il primo film d’animazione digitale di Pixar. Quell’anno, Toy Story sbancò al botteghino e Pixar esordì in Borsa con un’offerta pubblica iniziale stellare. Il resto, come si suol dire, è storia. Da allora, Pixar Animation Studios ha prodotto 19 lungometraggi che si sono sempre confermati trionfi commerciali e di critica, un elemento davvero notevole in un’industria in cui i grandi successi vengono generosamente premiati ma sono rari, e in cui non si è mai vista una società in grado di inanellare una serie di successi senza un solo fallimento. Come è possibile? La risposta è: grazie a una leadership che crea le condizioni in cui sia la creatività sia le critiche possano esprimersi liberamente. Ed Catmull, co-fondatore di Pixar, attribuisce il suo successo in parte alla schiettezza. La sua definizione di schiettezza come onestà e franchezza e la sua idea di associare questa parola con verità e assenza di riserve rispecchiano i principi cardine della sicurezza psicologica. Quando la schiettezza è parte integrante della cultura di un luogo di lavoro, le persone non si sentono costrette al silenzio, non si tengono tutto dentro. Dicono quel che pensano e condividono idee, opinioni e critiche. Idealmente, ridono insieme e chiacchierano rumorosamente. Catmull incoraggia la schiettezza attraverso la ricerca di modi per istituzionalizzarla nel contesto aziendale, soprattutto grazie a quello che Pixar ha battezzato “Braintrust”.
Il Braintrust: uno strumento per il feedback
Il Braintrust è un’iniziativa lanciata da Pixar nel 1999, quando si lavorava strenuamente per salvare Toy Story 2, la cui elaborazione non stava andando bene. Si tratta di un piccolo gruppo che si riunisce a intervalli di qualche mese circa, con lo scopo di valutare i film in lavorazione, offrire un feedback sincero al regista e aiutare a risolvere eventuali problemi creativi. La ricetta del Braintrust è piuttosto semplice: un gruppo di registi o sceneggiatori guarda in mente ciò che secondo loro non andava bene, ciò che mancava, che era poco chiaro o poco logico, probabilmente Toy Story e Toy Story 2 non sarebbero diventati i successi planetari che invece sono stati.
Il Braintrust di Pixar ha regole precise. Innanzitutto, il feedback deve essere costruttivo e deve riguardare il progetto, non la persona. Nello stesso modo, il regista non può stare sulla difensiva o prendere le critiche come offese personali e deve mostrarsi pronto a sentirsi dire la verità. In secondo luogo, i commenti sono suggerimenti, non ordini. Non ci sono incarichi verticistici o di altra natura; il regista è, in definitiva, responsabile del suo lavoro e sarà lui, o lei, a decidere se adottare o meno le soluzioni proposte. In terzo luogo, i commenti schietti non devono partire da un atteggiamento sarcastico o accusatorio, ma da una condizione di empatia.
Un elemento di grande aiuto è il fatto che i registi presenti per commentare siano già stati, a loro volta, esposti alla valutazione altrui. I complimenti e gli apprezzamenti, soprattutto per la visione e l’ambizione del regista, vengono abbondantemente elargiti. Quando le persone si sentono abbastanza sicure da condividere intuizioni, opinioni o suggerimenti, la conoscenza a disposizione di tutti cresce in modo esponenziale. Questo perché le osservazioni e i suggerimenti individuali si rafforzano a vicenda, assumendo nuove forme esieme una prima proiezione del film, poi si pranza insieme e poi si spiega cosa sembra funzionare bene e cosa no. Ma l’ingrediente chiave di questa ricetta è la franchezza e, per quanto possa apparire semplice, essere davvero schietti non è mai facile.
Accettare errori e problemi per arrivare al successo
Come ammette candidamente Catmull, «[…] all’inizio, i film Pixar sono un vero disastro». In altre parole, sarebbe stato facile se avessero scelto di fare di Toy Story un film noioso e lacrimevole sulla vita segreta dei giocattoli. Ma in Pixar il processo creativo, che è per sua natura ripetitivo, fa affidamento su feedback davvero onesti. Se i convocati nella sala riunioni del Braintrust, alle prime proiezioni, avessero mormorato garbate parole di lode anziché sentirsi abbastanza sicuri di sé da descrivere schietta creando nuovo valore, specialmente se facciamo il paragone con quel che succede quando il feedback viene richiesto e raccolto in separata sede.
Il ruolo del manager nel monitoraggio
I Braintrust – i vari gruppi di persone che, con uno scopo comune, offrono commenti schietti e onesti ai colleghi – sono soggetti al carattere dei loro componenti e alle alchimie personali: in altre parole, se il loro funzionamento non viene guidato in modo corretto è facile che vadano fuori controllo. Perché funzionino bene, i leader devono monitorarne le dinamiche con costanza. Un notevole aiuto viene dal rispetto dei loro componenti per le reciproche competenze e dalla fiducia nelle opinioni degli altri. Andrew Stanton, regista Pixar, ha offerto alcuni consigli sulle persone ideali da inserire nei gruppi di feedback sul lavoro altrui, cioè coloro che riescono «a farvi venire idee migliori e proporre una gran quantità di soluzioni in brevissimo tempo». L’osservazione di Stanton sul circondarsi di persone che ci mettano in condizione di «pensare in modo migliore» esprime l’essenza della ragione per cui la sicurezza psicologica è fondamentale per l’innovazione e il progresso. Tutti noi arriviamo a pensare in modo migliore se gli altri esprimono la propria opinione.
Articolo tratto dal libro Organizzazioni senza paura, di Amy C. Edmondson, Franco Angeli Editore.