Andrea Salonia: un dirigente in attesa

A tu per tu con l'autore del romanzo Domani, chiameranno domani. I fatti a cui si ispira il libro sono legati alla cronaca degli ultimi anni. Salonia prende spunto per affrontare temi cruciali del mondo del lavoro, della leadership e della giustizia

Andrea Salonia, professore associato di Urologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, fa il suo debutto nella narrativa con un romanzo che ha molto colpito la critica e incuriosito il pubblico: Domani, chiameranno domani. La storia è ambientata in Puglia e vede come protagonista Augusto C, il direttore della fabbrica di acciaio più grande d’Italia ora agli arresti domiciliari. Abbiamo incontrato Salonia per chiedergli come sia nata l’idea di un libro con al centro una figura manageriale tormentata e in attesa di giustizia. 

A chi si è ispirato per creare il personaggio di Augusto C. e quanto c’è di lei in quest’uomo alla gogna?
Domani, chiameranno domani racconta la storia di Augusto C., ex direttore generale dell’acciaieria più grande d’Europa. La storia narrata è di assoluta fantasia, come pure le giornate agli arresti domiciliari e i difficili momenti in carcere, ma l’idea di Augusto nasce dalla figura dell’ingegnere che per tanti anni è stato il responsabile dello stabilimento siderurgico più importante d’Italia, sito in Puglia, nella città di Taranto.
Il mio non è comunque il romanzo dell’ILVA o sull’ILVA, che come tale non viene mai neppure nominata; Domani, chiameranno domani è il romanzo dell’uomo in attesa, nel claustrofobico stato di sospensione in cui Augusto aspetta che qualcuno lo ascolti, che venga prestata attenzione a quanto lui abbia da dire. Questo qualcuno è la giustizia. Non facile dire quanto di me ci sia nell’uomo che ho descritto e nella cui vicenda letteraria mi sono calato per mesi e a cui penso con grande affetto ogni giorno. È arduo perché è stato, ed è tuttora, oltremodo problematico cercare di mantenere un’equanime distanza dall’uomo Augusto e dall’ingegnere Augusto C., entrambi alla gogna. Come uomo, l’uomo Augusto merita la mia più totale comprensione e abbisogna che la progressiva perdita di sensi, maturata nel passare dei giorni e delle pagine del romanzo, venga interpretata non come una forma di abbandono e di cedimento, ma come una manifestazione di resilienza della parte cognitiva e pensante rispetto a quella più biologicamente vicina all’animale che annusa, gusta, tocca, sente e vede, ma che ha forse meno strumenti intellettivi per interpretare la durezza del quotidiano, e resistere. Come scrittore e da professionista della salute, l’ingegnere Augusto C., merita la mia più totale comprensione, pure lui, perché la gogna mediatica e la cattiveria all’intorno, il gettare discredito sul nome, sul suo agito e sul suo agire e su quanto il proprio rigore hanno imposto e suggerito di fare, son tutti momenti di enorme sconforto e causa di violento patimento. 

I riferimenti a noti fatti di cronaca appaiono evidenti: il suo romanzo è anche un atto di denuncia verso quella caccia alle streghe di dirigenti e persone che occupano ruoli di responsabilità in azienda, che non sempre appaiono sui media come modelli virtuosi?
Il mio è un romanzo sull’uomo, le mie non sono parole di denuncia. Sarebbe stato davvero molto più “facile” – e utilizzo questo termine con il dovuto garbo – promuovere questo mio libro descrivendolo come la storia degli ultimi anni dell’ILVA.
Con il mio romanzo ho inteso raccontare la storia universale dell’uomo in attesa, in quella attesa che diventa solitudine estrema, allontanato dalla vita e dalla quotidianità che gli era propria. In tal senso il mio racconto è il racconto del Deserto dei tartari di Buzzati. E’ il tempo che passa della Gita al faro della Woolf. È la descrizione di una condizione di sospensione rispetto agli eventi, che accomuna molte situazioni opprimenti, che forse inevitabilmente portano l’individuo a una profonda introspezione, al guardarsi dentro con grande profondità e senso critico, probabilmente come mai avesse fatto prima. In tutto ciò, il mio Augusto C. è ingegnere ed è agli arresti domiciliari – e per diciotto giorni perfino in carcere – per un’accusa infamante di disastro ambientale, e molto di più. Ciò che più mi ha oppresso, nella descrizione della vicenda e nella considerazione della vicenda stessa, è il fatto che Augusto attenda una chiamata da parte della Giustizia, che nella migliore delle ipotesi e nella sua più fervida speranza sarebbe arrivata sempre il giorno dopo, e quello dopo ancora. Difficile dire come io mi ponga rispetto a questo attendere, che non è mai un soccombere da parte dell’Augusto rigoroso e “giapponese” che ho descritto.

Il racconto in prima persona permette di fare luce su pensieri ed emozioni di un uomo che ha dedicato gran parte della sua vita al lavoro: un’operazione interessante dal punto di vista letterario?
Non mi so immaginare senza lavorare. Perché come il mio personaggio, che non esercita la professione di ingegnere ma è ingegnere fin dentro il midollo, io sono medico e non faccio il medico. Per questo, credo inconsciamente, ho scelto di utilizzare la prima persona nella narrazione. Augusto ha dedicato la sua vita intera al lavoro; prima nello studio, poi nelle fasi della professione, dal Giappone a quel suo Salento poco azzimato. Augusto è il rigore, il senso del dovere e la abnegazione che gli era stata insegnata dal padre. Augusto C. e il suo lavoro sono il modo in cui il dirigente dell’industria siderurgica si interfaccia con il mondo, che però conosce bene e fin nel profondo. Perché ne conosce le persone. Ne conosce i fatti, le difficoltà, di molti, se non di tutti i suoi collaboratori e dipendenti. E la descrizione letteraria è stata ancora più interessante perché Augusto C. non è proprietario della azienda, non è “il padrone”, come una certa quota di letteratura e di quotidianità ci porterebbe a dire. Augusto C. è il Dirigente per definizione; le sue sono le emozioni di chi sente il suo luogo di lavoro come il luogo della vita, e spesso è quasi superficiale rispetto alle vicende della sua famiglia, che attraversa più che viverle appieno, di cui sa di riflesso, a mezzo della figura straordinaria di Graziella, la moglie, mai comprimaria rispetto alle emozioni e ai pensieri del personaggio, quanto invece specchio e voce di molto del suo io più profondo. Non sarei stato capace di scrivere di Augusto – e di Graziella – senza che la vicenda intera ruotasse così fortemente attorno al mondo del lavoro.

Cosa significa l’attesa per lei?
Entusiasmo e passione, talvolta. Per qualcosa di straordinario e di bello. Angoscia, molto più spesso.

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