Cayla, la bambola cattiva

Le autorità tedesche invitano i genitori a distruggere la bambola Cayla, perché viola la privacy dei figli. La notizia è stata diffusa dalla BBC il 17 febbraio e ripresa anche da molti media italiani. Quindi un fatto noto direte? Probabilmente sì, ma che necessità ulteriori riflessioni. Veniamo al fatto.

Cayla, questo il nome della bambola, grazie alla connessione via internet e a un microfono collegabile via Bluetooth con qualsiasi smartphone è in grado di conversare con l’utente (in questo caso bambine). Secondo l’ente di monitoraggio tedesco c’è però, oltre al rischio di hackeraggio, anche un un rischio di spionaggio “programmato” in quanto, così afferma l’ente, Cayla raccoglie illecitamente dati dai bambini e li trasmetta a una società chiamata Nuance Communications, autrice dell’applicazione che accompagna il giocattolo.

Accusa ovviamente smentita dalla società, ma non è questo il punto. Il mondo dell’Internet of Things promette una perenne connessione dunque anche una perenne intrusione. Ma mentre in campo aziendale il livello di attenzione è altissimo sui temi di sicurezza, quando si abbandona l’ufficio e si torna a casa le difese calano. Da un orsacchiotto di peluche o una simpatica bambola non ci aspettiamo un hackeraggio con tanto di furto di dati o, peggio, un plagio dei figli. Da Amazon Echo a Google Home alle miriade di device che ci ruotano intorno,  tutto appare meravigliosamente smart ma è anche hard (tosto da maneggiare). Non c’è una morale ma solo un dato di fatto: se tutto è internet tutto può essere craccato, piratato e manipolato, compreso aspirapolveri, cancelli elettrici, biciclette, automobili e (apparentemente) innocue bambole. Attendiamo un doll antivirus a questo punto. 

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