Corsi di laurea in italiano o in inglese?

Il caso del Politecnico finisce in tribunale

È giusto difendere ad oltranza la lingua italiana e ritenere che sia l’unico veicolo di conoscenza in ambito accademico nel nostro paese?

La scorsa settimana una notizia ha suscitato scalpore ed è stata riportata da numerose testate giornalistiche: la sentenza della Corte Costituzionale a seguito della causa sollevata da un gruppo di professori del Politecnico di Milano.

Riepiloghiamo i fatti. Il Senato accademico del Politecnico di Milano ha attivato dall’anno 2014 dei corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca esclusivamente in lingua inglese. Alcuni docenti dell’ateneo hanno fatto ricorso al TAR della Lombardia, ottenendo l’annullamento del provvedimento.

Contro la decisione del TAR hanno fatto appello al Consiglio di Stato il Politecnico di Milano e il MIUR.

Il Consiglio di Stato, esprimendo il dubbio sulla legittimità costituzionale della disposizione di legge, si è rivolto alla Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale ha respinto i dubbi di costituzionalità sul caso ribadendo tuttavia che la lingua italiana “nella sua ufficialità, e quindi primazia, è vettore della cultura e della tradizione immanenti nella comunità nazionale, tutelate anche dall’art. 9 della Costituzione. La progressiva integrazione sovranazionale degli ordinamenti e l’erosione dei confini nazionali determinati dalla globalizzazione possono insidiare tale funzione della lingua italiana, ma tali fenomeni non devono costringere quest’ultima in una posizione di marginalità: al contrario, il primato della lingua italiana non solo è costituzionalmente indefettibile, ma diventa ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell’identità della Repubblica, oltre che garanzia di salvaguardia e di valorizzazione dell’italiano come bene culturale in sé. La centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana si coglie particolarmente nella scuola e nelle università. L’obiettivo dell’internazionalizzazione  deve essere soddisfatto senza pregiudicare i principî costituzionali del primato della lingua italiana, della parità nell’accesso all’istruzione universitaria e della libertà d’insegnamento”.

Dal Politecnico fanno sapere che la questione non è definitivamente conclusa: ora tocca al Consiglio di Stato pronunciarsi sulla base di quanto stabilito dalla Consulta (che infatti non si è espressa nel merito del ricorso proposto dai docenti).

In un’epoca di globalizzazione e in cui le università dovrebbero essere centri del sapere in grado di attrarre studenti internazionali, assumere una posizione di strenua difesa dell’italiano e limitare la diffusione dell’inglese forse è quanto meno anacronistico e discutibile. Non esistono lingue di serie A e di serie B, ma l’inglese è oggi di fatto la lingua franca per antonomasia e uno strumento straordinario per facilitare gli scambi culturali, in grado di aprire i nostri atenei al mondo. 

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