L’Italia ha tanti mali, ma quello forse più diffuso ed endemico è la corruzione. Esiste una spiegazione?
«Secondo gli indici di percezione della corruzione, l’Italia è collocata nelle peggiori posizioni in Europa. Le ragioni sono da ricercare nel fatto che, dopo quanto era emerso negli anni dal 1992 al 1995 il mondo politico, anziché cercare di contenere la corruzione, ha cercato di contenere le indagini e i processi».
La corruzione tra l’altro è il principale freno a una crescita strutturale e duratura a livello economico e sociale, perché annichilisce il merito, falsa la concorrenza sana e premia i peggiori. Come possiamo combatterla e vincerla?
«Ci sono molti esempi storici, ma anche contemporanei, di paesi che hanno combattuto la corruzione con efficacia: fra gli altri la Gran Bretagna di fine Settecento e in epoca attuale Singapore. I rimedi sono relativamente semplici dal punto di vista tecnico, in Italia probabilmente inattuabili per la resistenza della politica e, temo, delle imprese. È necessaria un’effettiva trasparenza contabile nelle imprese, il che implica un efficace contrasto anche all’evasione fiscale, e la previsione di operazioni sotto copertura in materia di corruzione e turbativa d’asta.
Le operazioni sotto copertura sono previste in Italia per settori quali terrorismo, crimine organizzato, traffico di stupefacenti e di armi, pedopornografia e consistono nel fatto che ufficiali di polizia giudiziaria – Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza eccetera – agiscono sotto mentite spoglie.
Negli Usa chiamano operazioni come queste test di integrità. Mi è stato detto che è troppo difficile fare indagini sulla corruzione e che loro, dopo le elezioni, mandano agenti sotto copertura a offrire denaro agli eletti: coloro che lo accettano vengono arrestati. A ogni elezione ripuliscono la classe politica».
Qual è il ruolo della politica, potere esecutivo e legislativo?
«La politica dovrebbe preoccuparsi di ricondurre il fenomeno a livelli fisiologici e soprattutto far scattare meccanismi rigorosi di selezione del personale politico e amministrativo, allontanando coloro che non tengono comportamenti trasparenti».
E quale quello del potere giudiziario?
«Il sistema giudiziario è stato l’unica forza che ha tentato di contenere la corruzione, con scarsi esiti, stante la crisi in cui si dibatte per una domanda di giustizia patologica che non ha equivalenti in altri paesi».
E i cittadini e la società quale ruolo hanno e cosa dovrebbero fare?
«Informarsi e indignarsi. Quando la reazione dell’opinione pubblica è forte, la politica adotta comunque provvedimenti. Il cosiddetto Parlamento degli inquisiti, quello in carica fra il 1992 e il 1994, ha abolito l’autorizzazione a procedere a fronte dell’indignazione dell’opinione pubblica».
Noi da anni riceviamo richieste a gran voce dai nostri manager di fare qualcosa per combattere la corruzione. Qual è il ruolo di imprenditori e manager che hanno maggiori responsabilità degli altri lavoratori?
«Rifiutarsi di sottostare a richieste corruttive. Purtroppo per anni molte imprese che hanno rapporti prevalenti con le pubbliche amministrazioni si sono difese dicendo di essere concusse, anziché denunziare le richieste, anche quando le loro dimensioni e la loro influenza le ponevano al riparo da rappresaglie».
Lei pensa che ci siano speranze che si risalga dagli infimi livelli nei quali siamo relegati nella classifica sulla corruzione a livello mondiale?
«Basta volerlo fare».
Cosa c’è nei paesi più virtuosi che permette di relegare la corruzione a livello fisiologico?
«Nel suo bel volume Atlante della corruzione, Alberto Vannucci, docente di Scienza della politica all’Università di Pisa, cita un’interessante ricerca: fino ad alcuni anni fa i diplomatici degli stati accreditati all’Onu godevano di una totale immunità, che si estendeva anche alle violazioni del divieto di sosta. Verificando i verbali restituiti alla Città di New York, si sono classificati i comportamenti dei diplomatici dei vari Stati. La sorpresa è stata che la classifica corrisponde agli indici di percezione della corruzione. I diplomatici dei paesi scandinavi non avevano neppure una violazione a testa. Anche senza sanzioni rispettano la legge. Evidentemente il miglior antidoto è il senso civico».
Tra l’altro, la corruzione è figlia dell’evasione, che serve per fare i soldi in nero per corrompere. Insomma, un cane che si morde la coda?
«La cosa che trovo davvero curiosa è che in Italia a ogni annuncio di lotta all’evasione fiscale segue un condono fiscale o una riduzione delle sanzioni penali. Capisco che non è pensabile processare milioni di evasori, ma il condono è un potente incentivo all’evasione».
Cosa fare per non continuare ad evadere il problema dell’evasione?
«Basterebbe usare gli stessi strumenti affinati nelle misure di prevenzione, soprattutto antimafia, la confisca dei beni di cui un soggetto abbia la disponibilità anche per interposta persona, non compatibili con i redditi dichiarati».
I giudici, nelle loro varie funzioni, sono anche un po’ manager?
«C’è una deriva aziendalista in magistratura che non condivido. Si cerca di fronteggiare la domanda patologica con incrementi di produzione. Peraltro ogni incremento di efficienza determina nuova domanda di giustizia che la riassorbe, però si rischia di abbassare la qualità delle decisioni».
Cosa pensa dei manager, di quelli privati che in un’Italia fatta di tantissime imprese a gestione familiare, scarseggiano?
«Il capitalismo a gestione familiare talvolta privilegia la fedeltà ai soci di maggioranza piuttosto che la fedeltà alla società. Tuttavia ci sono ottimi manager».
E della dirigenza pubblica, della quale fate parte anche voi giudici? La “burocrazia”, nel senso nobile, dovrebbe essere l’ossatura dell’apparato statale, ma noi forse soffriamo di “osteoporosi” a questo livello?
«Lo Stato italiano non ha una élite amministrativa paragonabile all’amministrazione francese o al Civil Service Britannico. Una delle ragioni è che spesso i dirigenti devono il loro posto non solo alla loro capacità, ma anche alla protezione di qualche politico. In magistratura questo fenomeno è meno presente. Naturalmente ci sono anche ottimi manager pubblici».
Non le pare che oggi in Italia troppi non svolgano appieno il loro ruolo tra i canonici poteri, nelle organizzazioni politiche e nei corpi intermedi?
«Certamente la passività rispetto a determinati comportamenti è inquietante. Rivendico alla mia categoria di aver trattato con fermezza i comportamenti devianti. I magistrati corrotti, quando scoperti, vengono arrestati e comunque si crea il vuoto intorno a loro. Altrove questo non sempre accade».
Anche noi cittadini italiani siamo un po’ troppo passivi?
«Certamente. Serve, come dicevo, informazione e indignazione. Invece di solito si scade nel qualunquismo. Quando qualcuno mi dice che rubano tutti, gli chiedo se ruba anche lui. Siccome mi dice di no, gli rispondo “Neanche io. Come vede, non è vero che rubano tutti”. Occorre saper distinguere e prendere le distanze da chi ruba, anche se è della nostra parte politica, soprattutto se è della nostra parte politica».
Come valuta oggi la giustizia in Italia, cosa va migliorato e, se ci sono colpe, quali sono?
«Un carico di lavoro eccessivo che non ha equivalenti in altri paesi. Occorre introdurre serie deterrenze che scoraggino dall’agire o resistere indebitamente in giudizio. Le colpe altrui non le valuto, quella dei magistrati è stata di non contrastare l’idea che si potesse risolvere il problema solo dal lato dell’offerta di giustizia e non anche da quello della domanda. L’eccesso della domanda di giustizia dipende anche dal fatto che in Italia è molto più tutelato chi viola la legge, rispetto a chi subisce le violazioni altrui».
Giustizia e politica: quale deve essere il rapporto? E cosa pensa degli uomini di Giustizia che scendono in politica?
«Dovrebbe esserci rispetto reciproco. A mio giudizio i magistrati non devono dedicarsi alla politica solo quando vanno a votare».
Guardando l’Italia tra dieci anni, come la vede?
«Di tutte le attività umane quella del profeta è la più difficile e costantemente a rischio di smentite».
Cosa farà da grande?
«Il pensionato».
Piercamillo Davigo, ex pm di Mani Pulite, è stato eletto oggi alla presidenza dell’Associazione nazionale magistrati (ANM). Davigo guiderà una giunta alla quale partecipano tutte le correnti della magistratura e resterà in carica per un anno.