Fatta l’Italia, bisogna… digitalizzarla

«L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani» diceva Massimo d'Azeglio nel 1861. Adesso, invece, bisogna digitalizzarla, aggiungiamo noi.

«L’Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani» diceva Massimo d’Azeglio nel 1861.

Adesso, invece, bisogna digitalizzarla, aggiungiamo noi. Anche Mattarella, nel suo discorso d’insediamento del 3 febbraio, ha ricordato quanto sia necessario «rilanciare l’economia all’insegna della sostenibilità e dell’innovazione, nell’ambito della transizione ecologica e digitale».

Ma come fare, in concreto? Come utilizzare al meglio i fondi del Pnrr? Quali iniziative del programma Next Generation scegliere? Quali piani adottare? Cosa riformare? Su cosa puntare per sfruttare la spinta al digitale che la pandemia ci ha imposto, evitando che rimanga una parentesi legata al lockdown?

Qualche spunto è arrivato dalla tavola rotonda che ha seguito la presentazione del VII Osservatorio delle Competenze Digitali, evento condotto da Barbara Gasperini, promosso da Aica, Anitec-Assinform, Assintel e Assinter Italia, a cui hanno partecipato Mario Mezzanzanica, docente all’Università Milano Bicocca; Mauro Minenna, capo dipartimento per la Trasformazione Digitale per la presidenza del Consiglio dei Ministri; Giovanni Adorni, Past President di AICA; Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform; Paola Generali, Presidente Assintel; Diego Antonini, Presidente Assinter Italia.

I dati dell’Osservatorio

Le rilevazioni dell’Osservatorio lo confermano: l’emergenza sanitaria ha spinto tutti i settori lavorativi verso un’accelerazione della digitalizzazione. Le figure professionali con competenze ICT, infatti, hanno mantenuto un andamento positivo durante il lockdown, e anche oggi fanno da traino per la ripartenza. in testa alla classifica troviamo le occupazioni con indice di novità più alto e quelle legate a governance e processamento dei dati, gestione e sviluppo di contenuti digitali, reti e sicurezza. Tutte professioni che, per gestire la complessità delle sfide lavorative, devono essere sempre più rotonde: ecco quindi che le soft skill diventano fondamentali, anche più delle competenze tecniche.

Il mondo del lavoro sta quindi attraversando un momento di forte e veloce cambiamento: va verso il digitale, e il Paese con lui. Ma come fare a gestirlo, senza esserne sopraffatti?

Riformare la formazione

Tutti i partecipanti alla tavola rotonda sono concordi: una delle leve più potenti, non solo per stare al passo, ma anche e soprattutto per andare oltre, è la formazione. Che, però, va riformata.

«Dobbiamo affrontare contemporaneamente la sfida educativa rivolta ai giovani e la sfida del reskilling e upskilling che interessa i lavoratori attivi. Servono risorse economiche e serve la collaborazione con le imprese per costruire percorsi formativi che siano aderenti ai fabbisogni dell’oggi, ma ancor di più a quelli del domani» ha affermato Marco Gay, che ha anche ricordato la recente nascita del nuovo Its di Padova dedicato alla formazione di figure digitali.

È intervenuta poi Paola Generali, che parlando di formazione si è soffermata sulle academy interne alle aziende: «questo modello di formazione continua, tipico delle big tech, va messo a terra anche per le micro, piccole e medie imprese del Made in Italy Digitale. Le MPMI costituiscono la vera struttura del tessuto imprenditoriale sul territorio, chiediamo pertanto un piano di incentivi, anche sfruttando i fondi del Pnnr, che consenta loro di investire sui talenti e dar loro prospettive di remunerazione e crescita competitive».

Digitali sì, ma consapevoli

Parlando dell’importanza della formazione continua, Diego Antonini ha introdotto il tema della consapevolezza digitale, sottolineando come la questione generazionale sia uno degli scogli alla digitalizzazione: «Oggi nelle aziende, accanto ai nativi digitali, troviamo anche lavoratori con un’età media relativamente alta. Si tratta di persone difficili da digitalizzare, che hanno seria difficoltà nell’uso della tecnologia: a costoro non va insegnato solo come utilizzare gli strumenti, ma anche la cultura digitale».

Il rischio, altrimenti, è quello di fare “più male che bene”, per esempio mettendo le aziende e i lavoratori di fronte a problemi di sicurezza informatica. «Servono meccanismi di assessment e certificazione che assicurino lo sviluppo di competenze digitali adeguate tutti i professionisti, indipendentemente dalla loro occupazione» ha rimarcato Giovanni Adorni.

Anche Mauro Minnea ha insistito sull’importanza di una “digitalizzazione di base” per tutti i cittadini, ricordando che «mettere in moto un processo digitale non vuol dire cercare di replicare un processo “fisico/cartaceo” in un altro ambiente, bensì operare con regole e logiche totalmente nuove. Oggi il Paese ha bisogno di persone che pensino in digitale: dobbiamo assolutamente tenerne conto nel delineare percorsi scolastici che valorizzino l’aspetto della consapevolezza digitale».

Uno STEMma di valore

Sempre Minnea ha introdotto un ulteriore tema, fondamentale per operare una transizione digitale completa: la valorizzazione delle materie Stem, che devono essere «considerate valide socialmente». Secondo Minnea negli ultimi anni c’è stata una mortificazione del rapporto tra domanda e offerta del mondo It: chi poteva è andato all’estero, chi non poteva è rimasto schiacciato tra retribuzioni e tariffe di riferimento dei servizi Ict avvilenti. Bisogna invertire la rotta. Marco Gay ha quindi aggiunto: «Chi si occupa di digitale è spesso considerato una commodity. Ma non lo è, è un pezzo d‘industria a tutti gli effetti, e come tale va valorizzato. Bisogna lavorare su compensi adeguati, per esempio abbassando il pugno fiscale per aziende, così da consentire una valorizzazione del netto percepito dai lavoratori».

L’importanza della capillarità

Da ultimo, Paola Generale ha parlato dei territori: «Sono fondamentali, non dimentichiamoci che l’economia del Paese è data dalla somma delle economie territoriali. Per digitalizzarsi ogni territorio deve quindi poter contare sull’offerta locale: servono bandi a supporto di progetti specifici, che favoriscano il match tra le esigenze di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione del piccolo comune e le risposte delle Pm idel suo stesso territorio. In questo il Pnrr potrà essere la chiave di volta».

Questa digitalizzazione s’ha da fare!

Citando Minnea, sul digitale e sulla formazione al digitale, negli ultimi anni «abbiamo seminato vento e raccogliamo tempesta. Ora rimettere in moto la macchina, anche ottimizzando appieno il Pnrr, non sarà semplicissimo». Ci attende una sfida sfaccettata e complessa che, ormai, s’ha da fare. Anche i manager sono chiamati a questa sfida, mettendo la propria esperienza al servizio di imprese, Pubblica Amministrazione e, soprattutto, delle prossime generazioni.

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