Finché non si prenderà coscienza del peso delle parole, ne resteremo schiacciati. Le parole pesano e tanto se non sono usate con consapevolezza, se vengono lasciate scorrere, senza attenzione.
Lo ha dimostrato Rula Jebreal che nel suo monologo a San Remo ha denunciato con parole durissime il femminicidio e ha condiviso la drammatica scelta della madre. Parole rivolte a domande senza senso e dolorose “Non chiedetele come era vestita”, perché queste domande pesano. E non è solo lei a dirlo, ma lo denunciano ogni giorno associazioni, operatori e tutti gli attori che entrano all’interno di un’emergenza nazionale.
Ma questa è solo una delle domande o delle parole “pesanti”, perché ogni giorno continuiamo ad assistere a un’informazione che deve ancora prendere la forma della vera e propria consapevolezza. Frasi che pesano come una condanna morale, che non dicono il fatto oggettivo ma un percorso di cui la donna pare complice, partecipe, una violenza raccontata come inevitabile, il punto di arrivo. Le parole descrivono comportamenti, accompagnano in un percorso di connivenza, dove la reazione violenta dell’uomo “suona quasi come giustificazione”.
Iniziamo con l’abolire le parole sbagliate
Si parla di “parole giuste” da utilizzare, ma prima ancora il lavoro deve partire dall’abolizione di parole sbagliate. “La violenza non è una malattia, è un comportamento, un atteggiamento sul quale ognuno deve vigilare per cogliere le sfumature, ed essere pronti ad agire davanti alla richiesta”, così un’operatrice di Casa Viola, struttura di accoglienza per donne vittime di violenza (Gruppo Polis), durante la giornata internazionale contro la violenza sulle donne organizzata da Pettenon Cosmetics S.p.A., azienda di prodotti professionali per capelli, viso e corpo molto attiva nel sociale a favore delle donne vittime di violenza, ha analizzato il fenomeno (qui il video della diretta su Facebook).
Troppo spesso si distoglie l’attenzione dal reato con frasi a effetto che “difendono il gesto” ma questo si chiama femminicidio, ha un nome preciso. Non possiamo permettere che l’attenzione si distolga dal femminicidio, non ultimo è l’articolo poi modificato in un noto quotidiano in cui la scena raccapricciante veniva “romanzata” e non sicuramente a favore della vittima; ma che il popolo vigile del web ha prontamente segnalato, condiviso e ricondotto all’oggettività dei fatti. La violenza è un atteggiamento, un comportamento e non una malattia, parole come “È matto, ha perso la testa, un raptus” non fanno bene a nessuno. In questo l’Ordine dei Giornalisti della Toscana ha stilato una lista di dieci parole da bollino rosso che troppo spesso invadono le pagine tra cui si legge “Amore malato, Raptus, se l’è cercata, com’era vestita, due bicchieri di troppo, era sola in un parco isolato, perché lei non lo ha lasciato, lui era un bravo ragazzo, un padre ammirevole, il fidanzatino, era un brav’uomo (ma quel giorno ha perso la testa)” tutte parole che portano con sé una responsabilità sulla donna.
Per arrivare alle “parole giuste”, un patrimonio comune da promuovere e tutelare contro un’emergenza nazionale
Non bastano le giornate internazionali contro la violenza sulle donne per sensibilizzare, servono parole comuni, un patrimonio consapevole condiviso da tutti gli attori, dai magistrati, alla polizia, agli operatori e al Foro, che con un linguaggio rispettoso e consono alla gravità dei fatti danno voce agli eventi. Cinque donne uccise in due giorni, sei in una settimana, più il cadavere di una donna ritrovato dopo mesi e il fidanzato arrestato. È un bilancio orribile, che porta il Procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi nella sua relazione all’anno giudiziario a parlare dei femminicidi come “emergenza nazionale”.
Nella Relazione del Procuratore Generale della Corte di Cassazione Giovanni Salvi del 31 gennaio 2020 si legge a pag. 24/196 si legge “In questo contesto positivo è ancora più drammatico il fatto che permangono pressoché stabili, pur se anch’essi in diminuzione, gli omicidi in danno di donne, consumati nel contesto di relazioni affettive o domestiche, i cosiddetti “femminicidi”. Le donne uccise sono state 131 nel 2017, 135 nel 2018 e 103 nel 2019. Aumenta di conseguenza il dato percentuale, rispetto agli omicidi in danno di uomini, in maniera davvero impressionante. Le violenze in danno di donne e di minori diminuiscono in numero, ma restano un’emergenza nazionale.