È una guerra anche social, quella fra Israele e Hamas. I militari e i terroristi lo sanno bene, e stanno utilizzando massivamente le piattaforme social sin dal primo attentato del 7 ottobre. I terroristi di Hamas hanno hackerato i profili di ostaggi e vittime per condividere immagini e video terrificanti, al fine di incutere terrore. E ci sono riusciti. Contenuti di una violenza inaudita proliferano online, insieme a messaggi di propaganda e a tanta, troppa disinformazione.
Come hanno risposto le piattaforme? Come intendono tutelare gli utenti?
Da subito, Thierry Breton, commissario europeo, ha richiamato Meta, TikTok, X e Google chiedendo loro di fornire chiarimenti sulle azioni intraprese in tal senso, entro 24 ore. Breton ha sostenuto che Meta doveva dimostrare quali azioni oggettive aveva preso in modo veloce e diligente, mentre TikTok aveva l’obbligo di proteggere i minori e i teenager da contenuti violenti e di propaganda terroristica.
Ma questa prima richiesta non era supportata dal punto di vista legale ed è andata a vuoto.
Quattro giorni fa è stato fatto un nuovo richiamo, questa volta supportato dal Dsa (Digital service act), che stabilisce anche delle deadline precise, alle quali le piattaforme devono sottostare.
La prima deadline è quella del 25 ottobre, quando dovranno riferire in merito alla loro “crisis response”, ovvero a tutte le azioni messe in atto per tutelare i propri utenti da disinformazione, propaganda terroristica e contenuti violenti. Entro l’8 novembre dovranno anche specificare come intendono preservare l’integrità delle elezioni (Usa n.d.r.).
A TikTok è stato chiesto, inoltre, entro l’8 novembre, quali azioni ha messo in campo per tutelare i minori.
Se la Commissione europea non sarà soddisfatta delle risposte, potrà intraprendere azioni legali e infliggere multe pari al 6% del fatturato totale di ogni piattaforma.
La prima risposta di Facebook: “I nostri team stanno lavorando senza sosta per mantenere sicure le nostre piattaforme, adottare misure contro i contenuti che violano le nostre politiche o le leggi locali e coordinarsi con fact-checker terzi nelle regioni per limitare la diffusione di disinformazione. Siamo lieti di fornire ulteriori dettagli su questo lavoro, oltre a quanto abbiamo già condiviso, e risponderemo alla Commissione europea”.
Dal canto suo, TikTok sottolinea: “Pubblicheremo il nostro primo transparency report che segue la nuova legge la prossima settimana, nel quale includeremo ulteriori informazioni sul nostro lavoro in corso per mantenere al sicuro la nostra comunità in Europa”.
X sostiene di aver già rimosso centinaia di account affiliati ad Hamas.
Oltre al problema della violenza di immagini e video che raggiungono chiunque, rimane il fatto che ad oggi le piattaforme social sono un terreno fertile per il proliferare di contenuti non verificati, da ambo le parti, ma sono anche una fra le prime fonti di informazione per i media a livello globale. Strumento di propaganda e affiliazione, sono in grado di suggestionare se non indirizzare l’opinione pubblica.
Mai come ora il pensiero critico è l’unica arma che abbiamo a disposizione perché è pressoché impossibile pensare che i colossi social, per quanto costretti dalla legge europea, riescano a monitorare e mitigare tutti i contenuti.