Sfatiamo un mito, tanto per capirci. Un mito che, probabilmente, l’eccessiva velocizzazione ( e semplificazione) della società contemporanea alimenta tra i più giovani. Non tutti possono diventare Zuckerberg. Anzi è il classico caso di Uno, Nessuno, altro che Centomila. Tanti (troppi?) invece sembrano essere in Italia gli startuppari. Coloro che grazie a un’idea, più o meno geniale sono convinti di poter diventare imprenditori di successo, cercando venture capitalist interessati a loro, per far nascere da un’idea, una realtà economica, lanciarla sul mercato, rivenderla a prezzi centuplicati, e ritirarsi a vita privata ai Caraibi. In un incontro moderato qualche settimana fa, una premiazione di start-up, uno dei pochi che è riuscito a rendere la sua start-up un caso di successo, ammoniva i ragazzi che aveva di fronte: “Carissimi la mia idea è valsa solo l’1 per cento. Il 99% del successo della mia start-up è stata la sua concretizzazione, e quindi la componente manageriale che abbiamo messo in campo”.
Torniamo agli anni Ottanta, quando le piccole imprese in Italia diventavano una realtà importante, muovevano il Paese, si solidificavano, ma in cambio, pian piano, aprendosi al mercato, capivano che il problema era saperci stare, avere strategia, comunicazione, visione.
A volte quei piccoli imprenditori, con tutto il rispetto, mi sembravano dei piccoli startuppari, con la differenza che questi ultimi raramente riescono poi a portare a termine la loro opera.
Sono figlio di un imprenditore, ho vissuto quell’aria negli anni Ottanta e non a caso alla fine di quel decennio, mentre cadeva il Muro di Berlino e io mi affacciavo al mondo del lavoro, mio padre sognava per me una sola carriera: quella del manager, appunto.
Come dire, feci di tutto per …deluderlo, iscrivendomi a Sociologia e diventando poi giornalista. Ma ho respirato quell’aria a casa e – mi permetto, immodestamente – di leggere nella classe manageriale quella colonna vertebrale che continua a permettere lo sviluppo e il successo delle piccole, medie e anche grandi aziende.
Un capitalismo, quello italiano, ancora di marca familiare, deve il suo successo alla visione dei suoi dirigenti. A Torino, dove ho avuto modo di moderare per Manageritalia un dibattito, molto tecnico, sul contratto dei dirigenti, con chi peraltro lo ha firmato direttamente, con chi si è seduto di fronte per trattare anche con il coltello, ho voluto ricordare, ovviamente, la grande figura di Sergio Marchionne.
Da mancato (volutamente) manager, due caratteristiche mi avevano sempre colpito di lui. La laurea in Filosofia (insomma quelli che si iscrivono alle facoltà umanistiche non devono essere tutti presi pazzi) e soprattutto la grande passione per il suo lavoro che lo portava a dormire pochissimo, e purtroppo anche – bisogna ricordarlo – a uno stile di vita che lo ha portato alla morte relativamente giovane.
Ovviamente oltre la visione, oltre la passione e la competenza ci deve essere altro. Per esempio un contratto come quello dei dirigenti del terziario che porta valore all’impresa e al manager. Che ha un welfare che offre formazione per il manager a vantaggio anche dell’impresa e dà garanzie importanti a livello sanitario, previdenziale e di copertura rischi. Insomma un contratto che garantisca il manager nella buona e nella cattiva sorte, senza ovviamente dimenticare la capacità, propria del manager, di andare davanti al proprio datore di lavoro a contrattare un surplus, che sia legato alla sua specificità, alla sua bravura, ai suoi risultati. Un valido punto di partenza per partire da subito con solide basi nel rapporto di fiducia tra imprenditore e manager.
Sembrano essere settimane non facili per le nostre imprese, per le turbolenze dei mercati, per una manovra economica che premia gli investimenti (e in ricaduta, si spera le aziende), ma che riceve anche molte critiche e dissensi. Per quanto Vi riguarda, c’è la quota 100 che può interessare i pionieri che hanno iniziato in Italia a guidare le aziende, pur non essendone i proprietari. Manager dalle grandi competenze, grande passione, che al 99 % hanno contribuito al successo della loro fetta di economia nazionale. Diamo ai manager spazio, a questi e anche a quelli più giovani, per far decollare e competere le nostre aziende.