«Io penso che la soluzione migliore sia avere all’interno del cervello un livello di intelligenza artificiale che operi simbioticamente con te, proprio come fa il tuo cervello biologico». Così parlò Elon Musk durante un’intervista televisiva; e alla domanda se è qualcosa che richiede un intervento chirurgico aggiunse: «No, puoi iniettarlo nel sangue o direttamente nella giugulare: da lì arriva velocemente ai neuroni». Eccolo, dunque, il futuro sognato e auspicato dal guru della Tesla. Intelligenza artificiale che scorre nelle vene, minuscoli elettrodi impiantati nel cervello per caricare e scaricare pensieri, chip di memoria per ricordare perfettamente tutto ciò che si legge, interfaccia internet impiantata nel cervello per tradurre i pensieri in ricerche online, chip retinici per vedere perfettamente al buio, impianti cocleari per ascoltare qualsiasi conversazione in un ambiente rumoroso, smart drugs per aumentare capacità cognitive e percettive e poi un’infinità di alterazioni artificiali del corpo per diventare esseri “transbionici”. Quando circa dieci anni fa, durante un evento, coniai i termini brainternet e internet of thoughts (pubblicata come visione del futuro di internet nel Dirigibile n. 11 del 2014) Elon Musk non era ancora in fissa con le interfacce neurali impiantabili (Neuralink sarebbe nata solo nel 2017) e neanche Klaus Schwab, fondatore e presidente del World Economic Forum, profetizzava e “auspicava” in ogni occasione la felice fusione fra uomo e macchina. Ora, però, ci siamo: la nuova internet è arrivata. Roba da andare fuori di testa. Facciamo un breve viaggio in tanti piccoli capitoli.
Cercasi simbiosi
Tra uomo e macchina. Sentire dentro di sé il computer o la rete. Non come allucinazione, ma come possibilità. Tempo dieci anni e anche il tablet a controllo mentale potrebbe diventare un gadget di uso (o abuso) comune. Per la nuova generazione artificiale (i nati dal 2010 in poi), fluida e dogmatica, la tossicodipendenza tecnologica è una droga di cui non si può fare a meno: avere il corpo connesso dalla testa ai piedi con mille device è pura normalità o, se volete, formalità.
Sperimentale Watson
È elementare: quello che si può fare si farà. In tutto il mondo, scienziati, governi, aziende e consumatori stanno collaborando per trasformare la terra in un computer gigante e l’umanità in un enorme cervello connesso in rete. Segnali. La Synchron ha appena avuto l’ok dalla Fda per dare il via a un primo studio clinico negli Stati Uniti per impiantare chip cerebrali negli esseri umani. C’è un gran fermento per potenziare le nostre capacità e collegare non solo gli esseri umani e altri mammiferi direttamente ai computer, ma anche gli esseri umani tra loro. La solita Neuralink di Elon Musk e poi Neurable, Facebook con Oculus, Halo Neuroscience, Bitbrain Technologies, Inbrain-Neuroelectronics, OpenBCI e, ovviamente, il Pentagono, perché quando si tratta di controllare la mente i militari sono sempre in prima linea. Il dado è tratto. All’uomo non resta che impiantarsi un minuscolo chip nel cervello per muovere telepaticamente le sue truppe di avatar che lavorano al suo posto in ufficio. Ebbene sì, potremmo lavorare simultaneamente e ubiquamente con uffici erranti che vagano in ogni direzione e luogo e noi, nuovi nomadi, senza più fissa dimora lavorativa. E anche qui ci sarà la solita polarizzazione fra ricchi e poveri: tutti avranno diritto a un bel microchip nel cervello per dialogare con i computer a distanza, ma i poveri dovranno subirsi (presente la versione gratuita di Spotify?) continui spot pubblicitari mentali che non lasciano scampo.
Il 6G è già qui
«Immagini cosa significa poter accedere non a un solo servizio gestito da un’intelligenza artificiale, ma avere la più potente delle Ai che monitora, secondo dopo secondo, quel che facciamo consigliandoci e guidandoci» afferma esaltato, durante un’intervista a un noto quotidiano, il finlandese Mika Rantakokko, coordinatore della Eu urban agenda digital transition, mentre spiega i principi della rete di sesta generazione (6G). Già, perché il 6G è già qui: 6G Flagship, URLLC, 6G Council, New-6G, 6GIC, 6GWorld, Next G Alliance, 6G@UT.A molti queste sigle, spesso con il fatidico 6 in bella vista, non diranno niente, ma sono le avanguardie di una rete che intende connettere cognitivamente ogni dispositivo, processo ed essere umano fattibile a una griglia di informazioni globale con gemellaggi di massa, telepresenza, cobot, internet dei sensi o, meglio, internet come sesto senso abilitante e “sistemi autonomi onnipresenti strettamente intrecciati in ogni aspetto della nostra vita”. Suona strano, ma è solo l’inizio.
Internet of bodies
Ovvia conseguenza. Se tutto è collegato, figuriamoci se poteva mancare il nostro corpo: da Iot (internet of things) si passa a Iob (internet of bodies). Il futuro adesso è addosso: sulla pelle, sotto la pelle, dentro il corpo. Stiamo festosamente entrando nell’era dell’internet dei corpi con una serie di dispositivi che possono essere impiantati, ingeriti o indossati. Il tutto compatibile con la nostra “biologia”. Convergenze, dunque. Microchip attivi impiantabili che rompono ogni barriera del nostro corpo, tatuaggi intelligenti, nanobot e modem corticali per collegare il nostro cervello alla realtà virtuale, dispositivi incorporati nei nostri corpi per monitorare dati sanitari o biometric. Umani “aumentati e connessi” con possibile (why not?) hacking dei nostri dati più intimi. Si profila all’orizzonte un’organizzazione del lavoro che legge ogni impulso ed emozione del proprio dipendente per valutare e correggere il comportamento. Ovvio, per il bene dell’azienda. Alla fine, Iot e Iob saranno fusi in un unico grande sistema, o grande fratello connesso, che tutto vede e controlla.
L’impresa transumanista
Lavorare e interagire con i cosiddetti cobot (robot collaborativi) è già roba di ieri. È tempo di rivolgere lo sguardo a una vera e propria impresa transumanista. Non è questo in fondo l’impresa 4.0 portata alle sue più estreme conseguenze? Forse sì. O meglio, se per l’impresa militare è eticamente giustificabile impiantare dispositivi di localizzazione e miglioramento delle capacità fisiche, cognitive, percettive e psicologiche dei soldati per creare forze speciali con capacità “sovrumane”, allora può valere anche per gli impiegati?
Come sappiamo, gli eserciti già da tempo lavorano sui potenziamenti biologici o sull’interfaccia cerebrale macchina-soldato e anzi, come testimonia un recente paper del ministero della Difesa britannica, in collaborazione con la Bundeswehr tedesca intitolato Human augmentation – The dawn of a new paradigm, l’obiettivo è proprio il soldato transumano. Non c’è che dire: andiamo verso l’automazione delle forze dell’ordine stile robocop, con tutto ciò che consegue eticamente e moralmente.
Le imprese copieranno il modello militare per creare impiegati ibridi tra uomo e macchina (legge permettendo)? Difficile dirlo. Sicuramente la tanto pompata quarta rivoluzione industriale ci porta verso imprese dove lavorano tante macchine e pochi umani, magari fra poco per di più in versione “aumentata”. Insomma, personale transumanista. Pronostico: quello che sembra fantascienza potrebbe presto diventare realtà anche in azienda, soprattutto se prevale la nuova religione transumanista della Silicon Valley.
Dat: didattica a telepatia
Da Facebook a Brainbook, ovvero postare immagini direttamente nel cervello? “Fantaeccessivo”? Nel 2050, si dice, le persone potranno trasmettere i propri pensieri ad altre persone. Questo consentirebbe a un insegnante di trasmettere competenze o informazioni a uno studente di un altro continente senza dire una sola parola: un “internet dei pensieri” lo rende possibile. L’anno scorso ricercatori della Rice University hanno sviluppato un metodo per trasmettere pensieri da un essere vivente all’altro, almeno negli animali da test, le cui cellule nervose sono state modificate geneticamente per l’esperimento. Senza entrare nel merito, gli scienziati (pazzi?) sperano che in futuro, grazie agli impianti cerebrali, le persone saranno in grado di imparare una nuova lingua entro pochi giorni. Suona bene, peccato però che tecnologie così invasive (elettrodi impiantati direttamente nel cervello) siano un bel salto nel buio.
Pizza cerebrale
Ordinare una pizza tramite le onde cerebrali è quello che promettono le interfacce cervello-computer a mani libere, come quello di NextMind, che decodifica l’attività neurale in tempo reale, dando la possibilità di controllare gli oggetti usando solo la tua mente. Certo, promesse, ma intano l’esaltazione cresce per il cosiddetto “freedom computing”.
Secolo delle macchine
Questo non è come molti credono il secolo cinese ma quello delle macchine: pensiamo sempre che ci sostituiranno al lavoro, ma non pensiamo mai che le macchine pensanti ci faranno lavorare come macchine. Eppure, non solo è possibile ma è assai probabile che ciò accada. L’automazione non è più arrestabile e ben presto anche noi saremo semplici automi al servizio degli automi (veri). Verosimilmente, fra dieci anni l’automazione e le macchine svolgeranno due terzi di tutti i lavori con molto meno spazio per gli umani senza arte né parte.
Essere una macchina
Ricca. E se bastasse essere come loro per sopravvivere in un mondo dominato da loro? Tentazione pericolosa che mi ricorda “e se bastasse essere nazisti per sopravvivere in un mondo dominato da loro?” Ma intanto non si parla d’altro. Nel saggio Essere una macchina (Adelphi), l’autore Mark O’Connell fa un viaggio in posti strani con gente strana (compreso un laboratorio di criogenesi, a Phoenix) che esalta il transumanesimo come traguardo evolutivo dell’umanità, o almeno per una piccola fetta. Infatti, il grosso del movimento fa base nella Silicon Valley. Qui persone molto potenti e influenti sognano un mondo di super ricchi che trascendono l’umanità, l’invecchiamento e forse la mortalità perché, sì, in futuro la nostra mente potrà essere caricata su un computer, e da lì assumere una quantità di altre forme, non necessariamente organiche. Un folle traguardo per pochi. Il grosso andrà in giro con le solite macchine. Meglio?
Perso nel metaverso
Finiremo tutti nel metaverso come dentro al Tamagotchi? Beh, gli indizi c’erano già nel 2012, quando Philippe Borrel diresse A world beyond humans, film che documentava un mondo senza esseri umani fortemente voluto dalle macchine. Perché una cosa deve essere chiara a tutti. Se il mondo reale è occupato dalle macchine, allora noi umani saremo costretti a vivere in un mondo generato dalle macchine: il metaverso. Un universo parallelo immersivo dove adorare mondi popolati dai nostri avatar esistenti solo nel computer. Una dimensione di deriva cognitiva e sdoppiamento, che ci condanna al delirio virtuale controllato dai grandi attori tecnologici con pratiche degne di un episodio della serie di Netflix Black Mirror. Il metaverso, dunque, come disaccoppiamento sociale alla Matrix e fine dell’umanità? Sì, perché è quello che bramiamo. E mentre noi siamo persi si profilano all’orizzonte i primi robot viventi autoreplicanti, una forma di vita artificiale che si riproduce: si chiama Xenobot, che fa quasi rima con xenophobia. Infatti, le macchine hanno un’avversione atavica nei confronti degli stranieri, cioè noi umani.
Biohacking management
A questo punto il manager ha solo tre possibilità. O si ribella allo strapotere delle macchine, o si sottomette allo strapotere delle macchine, o si adatta allo strapotere delle macchine, superandole. Certo, è un patto con il diavolo: cedo la mia anima in cambio di superpoteri da cyborg, ma tant’è. Ormai nulla è troppo azzardato per andare oltre il solito manager in carne e ossa e puntare dritto all’umanità aumentata in azienda.
Dalle manipolazioni del Dna ai chip sottopelle, dalla crioterapia alle iniezioni di cellule staminali, fino ai dispositivi cibernetici. Concepire se stessi come un “code”, codice, che analogamente ai software è programmabile e modificabile. «Se possiamo trasformare le macchine e renderle perfette», grida il manager biohackato, «allora possiamo farlo anche con la vita biologica». E che vita. L’imprenditore Dave Asprey, che si definisce come “il primo biohacker professionista del mondo”, e che ha inventato la Bulletproof Coffee Diet (uno strano miscuglio di caffè e burro che aumenterebbe l’energia) e scritto la guida Super Brain, è solo uno dei tanti hacker della biologia fai-da-te.
Come l’imprenditore e biohacker evangelist di Amburgo, Patrick Kramer, che gira i palchi di mezzo mondo per annunciare la trasformazione digitale dell’essere umano con relativo upgrade continuo. Per lui è tutta una questione di testa. Infatti (vedi foto), le sue soffici e bianche orecchie da coniglio forniscono informazioni sul suo umore tramite un’interfaccia cervello-computer. Quando l’imprenditore tedesco è di buon umore, le sue orecchie si drizzano; quando è triste, si ripiegano. Non fate orecchie da mercante. Questo è il futuro. Ma anche no, però.
Manipolazione emotiva
Accendere il buon umore con un clic? «In futuro, saremo in grado di cambiare i nostri sentimenti in modo mirato», dice entusiasta Gabe Newell, fondatore della società di videogiochi Valve. Il veterano dell’industria si aspetta che in pochi anni sarà possibile scrivere dati digitali direttamente nel cervello. Per fare questo, l’utente dovrà solo indossare un dispositivo di invio e ricezione che assomiglia alle cuffie di oggi. Secondo il guru tecnologico americano, in futuro le immagini create dal computer saranno proiettate direttamente nel cervello e le emozioni indesiderate potranno essere bandite dalle cellule nervose: una sorta di psicoterapia digitale, in pratica. Ovvio, non si può escludere che gli hacker attacchino il cervello delle persone e anzi minaccino di cancellare i ricordi, a meno che la vittima non paghi un riscatto. È la prossima criminalità targata brain eaters, i mangiatori del nostro cervello. La dieta riparatrice? Evitare tecnologie indigeste.
E se fosse solo un incubo?
La corsa a un bionico cervello abnorme, stile Frankenstein Junior, può riservare brutte sorprese per chi si presta al grande esperimento collettivo in arrivo. Quando dei dati vengono scritti nel cervello e si manipolano i propri neuroni, qualsiasi errore può avere conseguenze fatali. Ma non è solo questione di precauzioni e preoccupazioni (quali sono le implicazioni e i rischi per la mia biologia?), c’è ben altro. Gli scettici e i diffidenti, forse giustamente, affermano la propria diversità umana, consci che la sostituzione delle macchine nel nostro fare e pensare porti alla dissoluzione delle nostre Eigenschaften, giacché la tecnologia lavora fatalmente sempre sulla sottrazione delle nostre qualità. Facciamo un po’ di ordine. L’evoluzione della materia è la macchina. La macchina è metallo come lega (silicio per esempio), dunque regno minerale. Quindi l’uomo “aumentato” è l’esasperazione della materia. Ma l’uomo non è solo materia, la parte spirituale regredisce e diventa ancora più primitiva dell’uomo del passato. Viene ammazzata la sua parte spirituale che per millenni ha fatto la differenza nella storia dell’umanità basata sulla volontà. Augmented humanity? Sì, ma non macchinosa. In fondo, chi non eleva il proprio essere puntando sul Sé (essenza, soffio vitale), così caro allo yoga e allo zen, gioca con il fuoco. Meglio un samurai perdente che un soldatino che si perde nelle macchine.