Recentemente dovevamo organizzare il social training Disabilità&Lavoro con Prioritalia, Cfmt e Aism e, per avere in aula HR manager ed esperti con i quali costruire qualcosa di innovativo, ho contattato anche Joshua Paveri. Lo conoscevo come interlocutore responsabile marketing & sales Jobmetoo, società specializzata in ricerca e selezione di lavoratori disabili della quale avevamo già parlato in passato.
Tra l’altro da qualche mese Joshua mi “tormentava” ogni 15 giorni per riparlare della loro società. Prendo la palla al balzo e lo contatto spiegandogli il tutto e trovo subito ampia disponibilità a partecipare. Dopo un breve passaggio all’interno, mi conferma di voler essere della partita con la sua azienda e che sarebbe intervenuto lui ai due eventi programmati per il 16 e il 17 maggio a Milano e Roma.
Il giorno prima dell’incontro di Milano Joshua mi chiama e, con una tranquillità simile a quella con la quale io avrei potuto dire prendiamoci un caffè, mi dice: “Nel posto dove ci troviamo domattina c’è un ingresso per disabili, perché io sono in carrozzina?”. Io dico: “penso proprio di sì, ma chiedo conferma”. Avuta conferma lo chiamo e gli dico “Sì c’è, confermo”. Allora lui mi dice “Arrivo in auto, ci vediamo lì”. E io, “Magari quando arrivi chiamami, io sarò già lì e ti faccio mettere l’auto nel parcheggio”.
Il giorno dopo arrivo con congruo anticipo. A un certo punto Joshua mi chiama sul cellulare: “Sono sotto”, mi dice. E io “Aspetta che scendo e ti faccio parcheggiare”. Lui: “No ho già parcheggiato, sono all’ingresso”. Io, un po’ stranito dal fatto che avesse fatto tutto da solo, dico “Arrivo”.
Scendo e lo trovo bello, bello sulla sua carrozzina all’ingresso. Lo saluto e mi viene quasi spontaneo chiedere se vuole che lo aiuti a superare un minimo ostacolo a terra, ma con estrema gentilezza mi dice, ma ancor più mi fa capire, che può fare da solo.
Saliamo, andiamo insieme nell’aula dove si terrà l’incontro, gli dico se vuole un caffè e, in attesa che arrivi, cominciamo a parlare di come nasce l’iniziativa di quella giornata, della sua società, ma poi subito di marketing e di social. Una bella chiacchierata tra markettari. Pareva ci conoscessimo da una vita, la sua empatia superava abbondantemente la mia. Mi conquista subito.
Stiamo vicini due ore durante la prima parte dell’incontro, tra l’altro molto interessante e coinvolgente, poi io devo andarmene. Allora lo saluto e lo abbraccio. Un gesto spontaneo dettato non da compassione o altro verso di lui, ma un vero e sentito ringraziamento, e forse compassione verso di me, perché in quei pochi minuti di chiacchierata insieme e nelle due ore fianco a fianco mi ha fatto capire definitivamente che è vero, la disabilità è solo nella testa di chi come me si crede “normale” e “abile”.
Soprattutto mi ha reso palese che in natura non c’è nessuna disabilità, ma ci sono normalità sfaccettate, diverse e poliedriche. Quindi, ho capito ancora meglio e in tutto il suo senso e significato compiuto lo slogan, anzi il payoff, che mi piace usare da un po’ di tempo: facciamo della disabilità una normalità. Perché la è e la deve essere! E questo lo hanno detto anche i manager in un’indagine.
PS: Ah, per la cronaca, il giorno seguente Joshua doveva andare a Roma, ma non ho più neppure pensato “come ce la farà”, Joshua può!