È un pomeriggio assolato del 1870 e due fanciulle attraversano piazza del Duomo lasciandosi alle spalle la cattedrale da cui sono appena uscite. Sono vestite secondo la moda dell’epoca e indossano ancora il velo di pizzo nero, avendo appena assistito alla funzione religiosa. Incedono lentamente come sospese verso noi spettatori, non conversano tra loro; la giovane a sinistra per ripararsi dal sole ha già aperto l’ombrellino, una potentissima macchia rossa che spezza l’andamento dei colori chiari e fa da raccordo con le tonalità scure del terreno su cui si muovono le protagoniste.
Osservando meglio proprio l’ombrellino rosso non possiamo fare a meno di scorgere il paesaggio circostante, un angolo della piazza più importante di Milano; c’è il Duomo perfettamente identificabile, ma tutto il resto risulta per noi contemporanei disarmante: non sono la piazza e la città che conosciamo.
Nel 1870 Milano era un grande cantiere e soprattutto il cuore della città era interessato da quei profondi mutamenti urbanistici che le avrebbero di lì a poco conferito il volto attuale,
quello del “salotto buono”.
Già dagli anni Trenta si discuteva sugli interventi da effettuare per rendere finalmente visibile in tutto il suo splendore la facciata del Duomo ormai in fase di definizione e, concorso
dopo concorso, si era giunti all’Unità d’Italia, quando finalmente i progetti avevano assunto un volto concreto con la posa della prima pietra per la realizzazione della Galleria Vittorio
Emanuele. Si trattava di un colosso di vetro e ferro, molto più moderno e innovativo dei soliti porticati e passaggi coperti, con i quattro bracci di una croce raccordati dalla cupola e un preciso obiettivo: mettere in comunicazione piazza della Scala con il Duomo.
I lavori erano iniziati nel 1865 e solo tre anni più tardi la Galleria era pronta… non altrettanto si poteva dire della piazza, che ancora non esisteva.
Per poter parlare di “piazza” dovremo attendere il 1875 con l’abbattimento del Rebecchino, un vero e proprio rione fatto di vicoli strettissimi e popolato dalla criminalità che si estendeva dal Broletto fino addirittura al sagrato del Duomo.
Sono storie di un tempo che fu, la costruzione del Duomo, la città attraversata dalle acque dei Navigli, la darsena, le basiliche di Porta Ticinese. Un tempo lontano ma non sconosciuto, grazie ad artisti come il monzese Mosè Bianchi, che da autentico “fotografo” ci regala momenti della quotidianità dell’epoca attraverso un viaggio emozionante in una Milano che non vorremmo dimenticare
Si dice che il Rebecchino dovesse il suo nome a un’osteria aperta nei suoi vicoli fin dal 1500, la cui insegna mostrava una donna intenta a suonare la “ribeca”, uno strumento simile a un violino.