Oggi, alla vigilia di Natale, conosciamo i primi numeri certi della manovra di bilancio: 167 sì, 78 no, 3 astenuti al Senato. Sappiamo anche che, seppur ridimensionati, sono confermati i 5 pilastri importanti della prima stesura, quali il nuovo reddito di cittadinanza, quota 100, la flat tax limitata alle partite IVA, la pace fiscale e gli investimenti pubblici. Anche se dobbiamo attendere almeno gennaio per capire esattamente come saranno praticabili. Ma sostanzialmente la missione del Governo sembra essere compiuta dopo un’estenuante trattativa con Bruxelles, che si è accontentata delle coperture indicate per il 2019 e soprattutto dell’annunciato gigantesco aggravio dell’Iva per il 2020 e 2021 sotto forma della ormai solita clausola di salvaguardia.
Per ora nessuno scommette che gli effetti della manovra possano essere di aiuto alla crescita. Lo stesso Governo ha dovuto abbassare le stime sull’impatto espansivo e tutti siamo ad auguraci sia sufficiente a evitare una nuova recessione o che almeno non ne sia una causa. Speriamo almeno possa portare sollievo al numero più grande di nostri cittadini in difficoltà economica, in particolare con l’abbassamento dei requisiti pensionistici e il reddito di cittadinanza. Possiamo quindi augurarci sia un aiuto alla coesione sociale che i governi precedenti evidentemente hanno trascurato considerando i risultati elettorali e il giudizio complessivamente positivo sull’operato del Governo ancora dato dalla maggioranza degli italiani.
Rimane impressionante la scena alla quale abbiamo assistito in questi giorni durante l’iter istituzionale, caratterizzata da un’arroganza senza precedenti di chi è al potere e si sente di cavalcare la forza elettorale, comprimendo i tempi e il dibattito parlamentare alla base della garanzia democratica e dei diritti delle minoranze. Ha colpito in particolare la sciatteria dei conti arrivati tardi e scritti con superficialità imbarazzante. Le lacrime della Bonino e i non pochi imbarazzi dei senatori di Lega e Movimento 5 Stelle rappresenteranno a lungo l’immagine dello sfregio alle istituzioni perpetuato in questi giorni. Consideriamo l’annullamento del processo democratico quasi peggio dei contenuti della manovra. Sarà difficile riconquistare il senso, la garanzia e il ruolo del Parlamento.
Se ne stanno accorgendo i pensionati italiani, beffati dal testo definitivo della manovra che non vedranno recuperato il potere d’acquisto delle loro pensioni o addirittura le vedranno tagliate, anche se solo quelle da 100.000 euro l’anno, con aliquote assurde dal 15% al 40%. Il grande lavoro svolto dalla CIDA e da Manageritalia, comunque almeno riuscito nell’intento di migliorare il provvedimento contro le pensioni, non è riuscito a far ragionare il legislatore e a farlo desistere, perché troppo indaffarato a trovare coperture e simboli da dare in pasto alla propria base elettorale. I pensionati, oggi ancora una minoranza facile da spremere, hanno dovuto cedere non trovando sufficienti garanzie istituzionali. Costringendo quindi le organizzazioni di rappresentanza a continuare nel prossimo anno la battaglia presso tutti i livelli di giudizio. Ma triste è il Paese che deve ricorrere al giudice per trovare soddisfazione ai diritti dei propri cittadini lesi dall’arroganza di chi è al potere. Non si costruisce il futuro in Tribunale.
Lascia ancora sconcertati scoprire alcuni provvedimenti quali la cancellazione dell’agevolazione sull’Ires per il non profit che fa tornare l’aliquota al 24% per enti e istituti di soccorso, enti ospedalieri, enti di assistenza e beneficenza; una scelta che ha giustamente fatto sobbalzare il mondo del volontariato e lasciato di stucco chi conosce quanto sia utile il sistema del terzo settore per colmare i vuoti di uno Stato sempre meno vicino agli ultimi. Ma rilevante in negativo anche l’annunciato blocco delle assunzioni presso ministeri e atenei e la riduzione da 9 a 3,6 miliardi del fondo per gli investimenti pubblici. Un segnale devastante, infine, è la misura inventata al fotofinish che ammetterebbe l’iscrizione agli ordini anche da parte dei professionisti senza titoli che abbiano lavorato, nell’arco di 10 anni, almeno per 36 mesi. Una conferma alla negazione delle competenze conquistate con studi e titoli accademici.
Il giudizio complessivo è dunque negativo. Perché il Paese avesse avuto maggiori possibilità di crescita avremmo visto volentieri meno protagonismo, molta meno arroganza e sfregio delle istituzioni e avremmo giocato tutte le nostre carte per stimolare la domanda con gli investimenti pubblici e rilanciare l’offerta con un taglio sostanzioso delle tasse. Oltre a dare un segnale vero al Sud e alla lotta all’evasione, chissà perché temi dimenticati completamente da questo Governo.
Toccherà quindi affrontare le sfide del 2019 senza aiuti. Certamente non sarà una novità. I dirigenti che rappresentiamo hanno sopperito anche nel passato alle difficoltà messe in atto da una politica autolesionista incredibilmente poco attenta alle esigenze delle imprese di questo Paese. Continuerà la caratteristica tutta italiana di dover governare le turbolenze provocate dai nostri stessi governanti oltre a quelle dei mercati.
Ma l’ottimismo a noi non può mancare. Non possiamo permetterci di non credere nel futuro, lo dobbiamo ai nostri collaboratori, alle loro famiglie, a chi crede nel nostro impegno e nella nostra visione. Per questo anche il prossimo anno daremo tutto per vincere le nostre sfide. Intanto auguriamoci sia un Natale sereno per tutti.