Milano Design Week: dentro e fuori il Salone del mobile

Aldo Colonetti, filosofo, storico e teorico dell'arte, del design e dell'architettura, ci guida per cogliere il meglio dell'evento internazionale nel capoluogo lombardo

Il Salone del Mobile è il sismografo del mercato, non solo per la “forniture” ma direi per tutto ciò che ha a che fare con le “Oscillazioni del gusto”, prendendo a prestito un titolo di un famoso saggio di Gillo Dorfles.

Ci vuole una mappa e una bussola sia per non perdere tempo sia per incontrare progetti e idee che potrebbero avere fortuna nel mercato. Certamente il mercato condiziona, fortemente e giustamente, questo grande appuntamento, perché, al di là dell’andamento dei consumi materiali, la prossima settimana è in scena il mondo.

Cultura analogica e realtà digitale s’intrecciano e si sovrappongono, ma l’impressione immediata, conoscendo abbastanza bene il dietro le quinte, prima che lunedì partano le danze, sarà sempre l’oggetto, il prodotto, i vecchi e nuovi materiali ad essere come sempre protagonisti.

È un settore “pesante”, questo, non solo per la dimensione e il fatturato, pesante perché la dimensione fisica dei progetti è ovunque, non si limita ad annunciare idee future, ma presenta già soluzioni, esperienze, soluzioni concrete.

Ecco, questo credo che debba essere il primo atteggiamento da assumere quando s’intraprenderà il cammino settimanale, tra città e la Fiera di Rho: guardare, toccare, confrontare il nuovo che spesse volte, per necessità, non è altro che la replica del vecchio, sotto un altro punto di vista; Picasso insegna! Una sedia è sempre una sedia, anche se le possibilità di replicarle sono infinite, e non tutti sono come il mio amico Alessandro Mendini, scomparso recentemente, che con la sedia Proust, probabilmente ci ha regalato l’unica replica possibile, non solo di un oggetto, ma di un capolavoro della letteratura. Sta a noi ritrovare il filo d’Arianna; anzi consiglierei di fare un giro, anche veloce, dentro e fuori la Fiera, e contare quanti sono i tentativi di imitare il linguaggio di Alessandro, solo apparentemente leggero, ma profondo come sono le idee che vengono da lontano. C’è della metafisica.

Un secondo consiglio potrebbe essere quello di non cercare, forzatamente la novità, perché comunque si tratta sempre di repliche delle funzioni fondamentali della “persona”, ma di farsi trasportare e suggestionare dai dettagli, perché che è dagli “indizi” che si riconosce il colpevole, e quindi l’autore. Faccio solo due nomi che prima di essere dei grandi progettisti, sono degli amici: Antonio Citterio e Alberto Meda.

I loro prodotti sono sempre diversi e contemporaneamente identici a se stessi, ma se poi vi avvicinate, scoprirete che i particolari di un giunto o di una curvatura, ma anche l’uso inconsueto di un materiale, trasforma la normalità in eccezionalità, senza cadere in soluzioni muscolari e inutili. Non faccio nomi, ma provate a guardare con l’occhio e la mente di un archeologo contemporaneo alcune delle cosiddette star o archistar di questo mestiere, così complesso perché sempre in bilico tra “essere” e “apparire”. È proprio nell’apparire che si nasconde il limite di questa straordinaria professione; chi non appare è il vero protagonista di questa settimana in quanto affida alle “cose” del mondo la propria intelligenza, privilegiando alcuni pochi indizi, sparsi qua e là, come segni da ritrovare. Uno dei più grandi studiosi del linguaggio, Charles Peirce, alla fine dell’ottocento, scriveva che” un segno è qualcosa attraverso la conoscenza del quale noi conosciamo qualcosa di più”. Da qui bisogna partire per distinguere il vero dal falso, l’utile dall’inutile, in sostanza, il “bello” dal “brutto”.

Un’ultima riflessione è di fare un po’ i “flaneur”, guardando non solo i prodotti, ma anche le facce, i gesti delle persone che saranno più di 500mila, da tutto il mondo! Il design fa parte non solo delle discipline progettuali; l’antropologia è fondamentale per comprendere un oggetto, la sua relazione con lo spazio ma anche con l’autore, la collocazione nel tempo e nel flusso dell’esperienza quotidiana.

Il significato di ogni “cosa” risiede nella relazione tra il soggetto e l’oggetto. Il design esiste in funzione degli altri, anche se qualsiasi prodotto fa parte dell’autobiografia dell’autore. Questo significa che, quando portiamo in casa un oggetto, ospitiamo anche una “persona”; la sua estetica e il suo modo di stare nel mondo.
Biografie e autobiografie, desideri e utopie, identità e differenze. Sta a ciascuno di noi cogliere nei particolari storie più generali, storie che vengono dal mondo.
Il design è il linguaggio della differenza: è necessario essere un po’ tolleranti e soprattutto inclusivi nella prossima settimana, perché la settimana del design, a Milano, ci chiede questo.

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