Modello Genova: intervista al sindaco Bucci

Il 28 aprile scorso è stata posata l’ultima campata del nuovo ponte, dopo 620 giorni da quel tragico 14 agosto 2018. Oggi si parla di Modello Genova, come esempio a cui guardare per attuare la ripresa del Paese. Di questo e altro abbiamo parlato con il sindaco della città e commissario per la ricostruzione del ponte Morandi Marco Bucci, un associato di Manageritalia Liguria di cui andiamo molto fieri.

Siamo al dunque, entro l’estate il ponte riapre. Sensazioni?
«Il lavoro non è ancora finito. Certo, molto è stato fatto in questi mesi. Ma attenzione ad abbassare la guardia. Saremo davvero soddisfatti quando il ponte sarà concluso, il giorno in cui taglieremo il nastro e la prima macchina potrà nuovamente passarci sopra».

Quali sono stati i punti di forza di una ricostruzione che ha un’importanza simbolica per la città e oggi ancor più per tutto il Paese?
«E’ presto per tirare le conclusioni, la questione andrà analizzata più a fondo a lavori conclusi. Però i punti di forza che ci hanno portato fin qui li abbiamo individuati e sono quelli che rappresentano il cosiddetto “Modello Genova”. Non esiste un segreto: non è altro che il modello in uso nelle aziende private. Si affida la responsabilità totale di un progetto a un certo numero di persone, dando loro la possibilità di compiere scelte di natura tecnica in autonomia. E poi si procede in parallelo anziché in sequenza, come si fa di solito nella pubblica amministrazione. Certo questo richiede anche una leadership forte e la possibilità di potersi affidare a persone capaci. Il Modello Genova è un modello per il Paese che ci dice che le cose, applicando cervello, tecniche e industria si possono fare e si possono fare bene. Può essere certamente un modello da seguire per la gestione delle opere pubbliche in Italia, nel quale la burocrazia è stata ridotta ai minimi termini».

Nell’ottica di un’Italia che deve ripartire, e idealmente ricostruire il suo ponte sul futuro, quali best practice trarre dalla vostra esperienza?
«Esattamente quello che dicevo prima. Unendo anche la capacità di lavorare in parallelo. Ad esempio, nel nostro cantiere abbiamo iniziato la ricostruzione quando ancora la demolizione era in corso. Ecco, questo modo di procedere ci ha permesso di abbreviare i tempi».

Se potesse tornare indietro, cosa non farebbe?
«Come mi è già capitato di dire… forse avrei urlato meno».

La città e il territorio come stanno vivendo questo doppio colpo, del ponte e del Covid-19?
«La città ancora una volta ha dimostrato di essere forte, tenace, solidale e di questo vado davvero molto fiero. Ma certamente resterà, purtroppo, il gran numero di vittime che il Covid-19 ha fatto in questi mesi. A loro e a tutte le famiglie va il mio pensiero ed è anche per loro che dobbiamo lottare per far tornare tutto alla normalità. Per quanto riguarda il ponte, c’è da tenere presente che il cantiere non si è mai fermato e che, anche in questo caso, abbiamo fatto scuola. Le misure anti-Covid applicate al cantiere del nuovo Ponte di Genova sono diventate un sistema che il Rina, il maggior ente di certificazione italiano, ha certificato. Anche questo è diventato un modello. Si sono analizzate le diverse lavorazioni in essere nel cantiere e per ognuna, si è stilato un elenco di procedure da mettere in atto perché gli operatori potessero avanzare in assoluta sicurezza. Com’è noto, per il momento, abbiamo avuto un solo caso in cantiere, per fortuna non grave, che ha portato all’isolamento di una squadra di una ventina di persone. Sono tutti tornati a lavorare regolarmente da circa un mese. Ma non abbassiamo la guardia: misurazione della temperatura, utilizzo di mascherine, gel per le mani, sanificazione degli spazi comuni e dei mezzi di cantiere sono solo alcuni degli esempi del sistema di prevenzione e protezione da Covid. Pensiamo di ispirarci ai protocolli di sicurezza certificati messi in atto dal Rina nel cantiere del nuovo viadotto per riaprire i nostri teatri, ad esempio, perché possano essere “Covid free”».

Da dove siete ripartiti?
«Direi che non ci siamo mai fermati. Già nella gestione dell’emergenza Covid abbiamo immaginato a come rimettere in moto la città e farle superare la possibile crisi. Ho elaborato un piano per Genova che tocca diversi ambiti: l’ho consegnato al presidente Giuseppe Conte nella sua ultima visita in città il 28 aprile. Intanto abbiamo sospeso o cancellato le imposte comunali per permettere alle imprese di ricominciare senza ulteriori affanni e alle famiglie di essere sgravati di altre spese; abbiamo aiutato il commercio a creare spazi per coinvolgere la clientela in sicurezza; ridisegnato in poche settimane la mobilità cittadina favorendo il più possibile la mobilità “green” tracciando chilometri di piste ciclabili: una scommessa per Genova».

Lei è un manager, quanto tutto ciò è stato importante in questi durissimi anni e quanto lo può essere da qui in poi?
«I tanti anni passati a lavorare in azienda in posizioni di vertice mi hanno fatto sviluppare doti di leadership in momenti di crisi come quelle che abbiamo vissuto negli ultimi anni. Il mercato globale ha passato periodi di emergenza proprio come questo. Ho sempre dovuto prendere delle scelte importanti e cercare di cambiare il passo e di aiutare la mia azienda. Così ho fatto anche in questi anni da sindaco».

Progetti per il futuro di Genova? Cosa farà “da grande” la città?
«Da tre anni abbiamo una visione chiara sul futuro della città. Abbiamo l’ambizione di farla diventare la capitale del Mediterraneo e stiamo lavorando in questa direzione: sono state messe in piedi grandi trasformazioni urbanistiche come il Waterfront di Levante disegnato da Renzo Piano, c’è un progetto per la mobilità cittadina ambizioso che partirà a breve con l’estensione dei lavori dell’attuale linea della metropolitana. Poi il parco del Ponte che sorgerà nell’area sottostante il nuovo viadotto e un’altra serie di interventi che puntano a rendere sempre di più Genova una realtà di riferimento per l’alta tecnologia».

Come vede la situazione del Paese oggi?
«Vedo un Paese che ha voglia di tornare a vivere e di non fermarsi più. Persone che hanno voglia di riprendersi in mano la loro vita per il bene dell’Italia. Ma, dall’altra parte, vedo uno stato che non riesce a rispondere con efficacia alla domanda dei suoi cittadini».

Cosa serve per riprenderci davvero il futuro?
«Dobbiamo cambiare passo, andare più veloci. L’Italia ha delle eccellenze che altri paesi ci invidiano, ma, purtroppo, siamo vessati dalla burocrazia. Tutto si ferma davanti a questi cancelli messi dallo Stato, per una giusta causa, ma che dovrebbero cambiare. Il modello Genova ha tracciato una strada e ha dimostrato che in Italia le cose si possono fare presto e bene. Dobbiamo trasformare lo straordinario in ordinario e sono sicuro che il nostro paese tornerebbe a essere tra le economie trainanti del mondo».

Con Cida il 2 maggio abbiamo corso una maratona online attraverso le testimonianze di quasi 400 manager, professionisti, comunicatori, esponenti della business community, delle istituzioni e della società e 124mila italiani che ci hanno seguito per ribadire di ripartire puntando su competenze, responsabilità e ruoli, quello dei manager in testa. Lei cosa pensa di questo obiettivo?
«Sono d’accordo con voi su tutta la linea. Le più grandi aziende mondiali si affidano ai nostri manager, perché noi italiani riusciamo a dare quel tocco geniale che altri non hanno. L’Italia, come ho detto in precedenza, deve ripartire dalle sue eccellenze e i top manager sono una di queste».

Quale potrebbe essere in questo senso il ruolo di Manageritalia, sia a livello nazionale che locale?
«Manageritalia potrebbe essere il trait d’union tra i professionisti e le istituzioni, in un continuo confronto fra le parti. Sono sicuro che questo rapporto porterebbe a grandissimi risultati per tutti».

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