Partiamo da un punto fermo. In mostra a Ca’ Pesaro a Venezia c’è un artista e un pubblicitario che si fondono e confondono dando vita a un percorso indimenticabile. Perché l’arte è anche marketing (la Chiesa docet) e il marketing, quando fatto bene, flirta con l’arte e diventa arte lui stesso.
Non a caso Armando Testa dice: “Ho dato molto al marketing, ma per tutta la vita, dopo quel sogno, la mia ricerca sull’immagine è stata sempre influenzata dall’arte e non solo dal marketing”. Così come Gillo Dorfles lo definì: “Un visualizzatore globale dei rapporti tra uomo e mondo, tra produzione e consumo, tra creatività pura e creatività finalizzata a uno scopo”.
Rivelatore è come racconta l’esperienza del caffè Lavazza: “Nel 1960, in piena esaltazione internazionale di grafismo astratto, nasce Caffè Paulista della Lavazza, il più tipico e famoso esempio di campagna pubblicitaria completa. Partendo da un fregio rosso, giallo e nero nato osservando scialli e tappeti sudamericani, creai un mondo dal sapore folcloristico, vagamente brasiliano, che anni dopo gli stessi brasiliani riconobbero come loro. Dal fregio nacque la confezione, furono caratterizzate tazzine e ombrelloni, si diede vita a un vero e proprio personaggio, Il Paulista, concepito per vivere e muoversi nel cinema, con il suo cappello, i baffi, l’ampio sorriso e la parlata spagnoleggiante, Amigos che profumo. Con il passaggio in televisione e l’uso del bianco e nero, nacque il caballero misterioso a cui poi affiancai la bella Carmencita”.
Un’arte, quella di Armando Testa, che così lui stesso descrive: “Vi confesso che non ho mai voluto avere un segno subito riconoscibile, ho affrontato il manifesto usando indifferentemente il pennello, la fotografia o il carattere topografico; ma la sintesi, l’uso dei bianchi e dei colori primari, la centralità dell’immagine hanno finito per diventare il mio stile”.
E l’arte e il marketing trovavano spazio e sinergia in lui, che diceva: “Confesso che appena posso prendere le distanze dal marketing per studiare manifesti culturali o per manifestazioni slegate dai prodotti di largo consumo, mi dedico con gioia al segno pittorico. Infatti, nel mestiere di ogni giorno, il mio percorso non prevede il riposo dalla pittura, perché sono convinto che fra pittura e pubblicità debba esserci un’interazione totale”.
Veniamo quindi al succo della mostra.
Dagli esordi torinesi presso la Scuola Tipografica Vigliardi Paravia e con l’insegnamento di Ezio D’Errico, l’esposizione mira a ricostruire il percorso artistico di un protagonista della cultura visiva contemporanea, creatore di celebri icone entrate da anni nel nostro immaginario collettivo. I suoi capolavori sono figli di una pluralità di linguaggi espressivi, sperimentati nel corso della sua carriera più che trentennale, la cui modernità è oggi fonte di ispirazione per gli artisti contemporanei e che ha portato lo studioso di estetica Gillo Dorfles a definirlo “visualizzatore globale”.
Al primo concorso, vinto da Armando Testa a vent’anni per ICI (Industria Colori Inchiostri), nel 1937, si affianca la ricerca portata avanti nell’immediato dopoguerra per importanti aziende come Martini & Rossi, Carpano, Borsalino e Pirelli, da cui scaturiranno alcune delle sue più geniali e iconiche invenzioni. E ancora, le pubblicità, le campagne promozionali e i loghi per Lavazza, Sasso, Carpano, Simmenthal e Lines, tra gli altri, che hanno accompagnato diverse generazioni di spettatori, fruitori, artisti e creativi, si arricchiranno delle suggestioni di Testa per occasioni pubbliche nazionali, come le Olimpiadi di Roma del 1960, di cui realizzò il manifesto ufficiale vincendo un concorso segnato da articolate vicende.
Gli anni Cinquanta e Sessanta videro la nascita delle immagini e delle animazioni per la televisione, con personaggi, suoni e gesti che sono rimasti nella storia della pubblicità e della cultura internazionale: dal digestivo Antonetto (1960) alla celebre sfera rossa sospesa sopra la mezza sfera del Punt e Mes, che in dialetto piemontese significa “un punto e mezzo” (1960); da Caballero e Carmencita per il caffè Paulista di Lavazza (1965) agli immaginifici abitanti del pianeta Papalla per i televisori Philco (1966); da Pippo, l’ippopotamo azzurro dei pannolini Lines (1966-1967), alle pubblicità per l’olio Sasso (1968) e per la birra Peroni (1968).
Le ricerche intorno al tema del cibo, visto nelle sue declinazioni eclettiche e anche ironiche, si affiancano in mostra ad attività legate ai temi sociali e alla diffusione culturale nelle quali Armando Testa non mancò di impegnarsi, come le campagne per Amnesty International, per il referendum sul divorzio, per la povertà e la fame nel mondo, a citarne solo alcune.
Parallela e contigua a queste produzioni corre la ricerca inesauribile di Armando Testa su alcune questioni sempre aperte: non solo la figura umana, le geometrie, i pieni e i vuoti, il positivo e il negativo, ma anche soggetti specifici come le mani e, soprattutto, le dita, primo organo di senso e di percezione del mondo, alfabeto con il quale interpretiamo il soggetto e lo spazio che ci circonda.
Significative interviste e contributi video portano i visitatori della Galleria Internazionale d’Arte Moderna a rivedere un pezzo importante della propria storia e le giovani generazioni a scoprire un genio creativo del nostro passato recente. Non solo l’Armando Testa già noto: l’esposizione di Ca’ Pesaro intende rivolgere uno sguardo complessivo alla sua lezione e al suo lascito artistico, con un’attenzione particolare alle sue qualità e felici intuizioni come pittore, scultore, disegnatore e creatore di infinite suggestioni condensate, magicamente, in una sintesi inaspettata.
In alto: Armando Testa_Ritratto con Matita. Photo Gemma De Angelis Testa (ufficio stampa Fondazione Musei Civici di Venezia).