Veneto di nascita, veneziano d’adozione, giornalista economico, romanziere di lungo corso con tematiche legate alla Serenissima, al viaggio e a tanti temi di attualità che sono i protagonisti dei tuoi romanzi. Quale il parallelo tra giornalismo e scrittura? Anche la tua è una fuga di libertà e azione?
«Racconto spesso di viaggi e l’ho fatto anche come giornalista. Non riesco a stare fermo e allora per muovermi spesso scrivo, ma non direi che sia una fuga. Forse è un altro modo per cercare di capire la realtà, il mondo, la gente, e anche me stesso, senza i vincoli dell’oggettività che dovremmo avere noi giornalisti. Poi la vita è anche sogno e mi perdo».
Nel tuo ultimo romanzo, Naviganti di frodo, tocchi vari temi, su tutti la voglia di libertà e di azione di tre giovani veneziani, anche ma non solo per sfuggire a una sonnecchiosa estate veneziana. Quale il messaggio che vuoi trasmetterci nello scenario attuale e in ottica futura?
«Questo romanzo è arrivato dopo il Covid, la reclusione, la paura. Potrebbe essere una scintilla per accendere di nuovo i razzi. Vai, sei di nuovo libero, tuffati nell’avventura e segui le tue mete, i tuoi miraggi. I tuoi, non quelli di altri o di uno smartphone».
Uno dei temi portanti è anche l’immigrazione e lo sfruttamento delle persone, visto che i tre si incontrano e poi viaggiano con una giovane albanese sfruttata. Quali messaggi per un paese “di emigranti”, sempre più vecchio, incapace di fare figli a sufficienza che vede nell’immigrazione una minaccia?
«Emira è il personaggio centrale, il diverso che trasforma un viaggio in un’esperienza di vita. Quanti stranieri ci passano accanto ogni giorno e ci suscitano interesse, curiosità? Li ignoriamo o ne abbiamo paura, invece. Emira è figlia dei nostri angoli bui, del mercimonio del sesso, delle nostre voglie. Una creatura ferita, come quelli che scappano sui barconi e che non fermeremo mai, se non si cambia prospettiva. Non è aiuto quello che serve, ma più giustizia e possibilità per tutti. Poi che ci servano più giovani è brutalmente vero. Ma serve, soprattutto, una società più aperta».
La vita dei ragazzi propone tanti momenti di convivenza che simulano la quotidiana realtà delle nostre aziende e soprattutto dei team. Ci sono e quali sono i paralleli e gli insegnamenti da portarci in azienda e sul lavoro?
«Direi in primo luogo il gioco di squadra. In barca se uno rema contro non si va da nessuna parte, come in azienda. E poi il confronto schietto, il coraggio di proporre idee, di discuterle senza rigidità o paternalismi».
L’avventura può essere anche uno stimolo e un valore che aziende e lavoratori possono utilizzare per dare più senso e prospettive economiche e personali alla loro attività?
«Direi di sì. Si fanno già corsi di vela per migliorare i rapporti in un gruppo di lavoro. E poi l’avventura stimola la creatività e la fiducia in sé e negli altri. Prendersi responsabilità. L’impresa è sempre un’avventura».
Tu ami Venezia, la racconti da anni anche dal punto di vista economico come giornalista, la metti al centro con i cardini della sua grandeur anche nei romanzi. Come la vedi oggi soffocata da inquinamento, overtourism e tanto altro?
«Venezia oggi sta boccheggiando. Il Covid non ci ha insegnato nulla, purtroppo. Ma non mi sono ancora arreso alla sua fine da parco giochi, anche se vedo una politica arruffona e vecchio stampo. Che non affronta i problemi. Per questo tocca ai cittadini far rinascere la nostra polis».
Il turismo, in Veneto e in tutto il nostro Paese, non merita più programmazione, collaborazione e sistema tra tutti gli attori pubblici e privati e una massiccia dose di Managerialità?
«Il turismo è la nostra prima industria, ma pochi se ne sono accorti. Troppa improvvisazione, gelosie, avidità. Serve più coscienza, managerialità e rispetto per Venezia e l’ltalia. Tanti posti ci fanno concorrenza, pizza e mandolino non bastano più. Quindi che turismo vuoi da qui a 5, 10 anni? Dove? Vuoi famiglie o giovani? Il nostro Paese è bellissimo, facciamolo diventare amichevole, aperto, organizzato. Gli spagnoli sono più avanti, ma noi siamo in Italia».
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