Primo Maggio 2021: l’ultima festa del vecchio lavoro

Ogni anno ci ritroviamo a celebrare le virtù del lavoro e a lamentarci della scarsa qualità e quantità. Da un paio di decenni auspichiamo cambiamenti, riforme, incentivi e proviamo a prepararci alle trasformazioni tecnologiche, organizzative e generazionali che avanzano, accelerano, mutano il quadro

Il 1° maggio è il giorno delle buone intenzioni, un giorno di festa per chi lavora, di preoccupazione per chi è disoccupato, cassintegrato, sottoccupato, per chi ha un contratto in scadenza, per chi lavora in aziende in crisi, per chi vede la propria professionalità impoverirsi, per chi emette fatture sempre più basse, per chi medita di provare a non emetterle.

Un anno fa eravamo alla vigilia della riapertura del Paese e la Maratona con i Manager testimoniava la nostra volontà di ripartire rapidamente, di valorizzare le competenze manageriali e professionali, di metterci alle spalle i mesi del lockdown. Un anno dopo contiamo quasi 1 milione di posti di lavoro in meno (gennaio 2021 rispetto a febbraio 2020 -4,1%, pari a -945mila unità), nonostante il blocco dei licenziamenti, un aumento del debito pubblico di 36,9 miliardi (2.643,8 miliardi, pari a quasi il 160% del Pil) e un Pil caduto dell’8,9% nel 2020 e non ancora ripartito.

Le nostre competenze sono ancora in panchina, alle prese con la nuova normalità del lavoro misto in presenza e a distanza, con la cassa integrazione e le prospettive dei ristori, con le incertezze dei mercati, il crollo dei fatturati o le riserve accumulate per una riduzione di attività, foriera di rischi.

Nelle nostre imprese la Resilienza non manca, la Ripresa invece ancora non si vede, ma abbiamo un Piano Nazionale e una guida sicura, almeno in questa fase. E attendiamo di abbeverarci alla sorgente delle nuove risorse europee, a fondo perduto e a debito, di dimensioni almeno paragonabili a quelle del disastro ancora in corso. Speriamo tra un anno di vedere il segno + nella crescita e di contare i nuovi posti di lavoro, tra due o tre anni contiamo di riportare gli indicatori macroeconomici ai livelli del 2019. Ci sono le premesse per riuscirci, ma riusciremo a superare le debolezze strutturali, ad affrontare più forti le nuove possibili crisi?

Tutto dipenderà dal lavoro, dalla sua quantità, ma soprattutto dalla qualità. Per alimentare l’una e l’altra dobbiamo però cambiare paradigma, dobbiamo farlo davvero dopo tanti annunci, dobbiamo fare il salto nel nuovo. Servono coraggio, competenza e una guida sicura: noi manager dobbiamo essere i Draghi delle nostre imprese, dei nostri settori, della società italiana che riparte.

Dobbiamo depurare le norme e le prassi del lavoro dalle stratificazioni storiche e dagli anacronismi, a partire dalla distinzione tra lavoro subordinato e autonomo, puntando a un modello di lavoro organizzato che comprenda la gran parte delle due attuali tipologie, che coniughi protezione e flessibilità, che costruisca un welfare universale con il modello della sussidiarietà. Noi dirigenti lo abbiamo realizzato prima di tutti, grazie alle nostre remunerazioni più elevate, ma ora il modello si può estendere. Occorre anche il coraggio di ridurre la tassazione sul lavoro per tutti, non solo per le fasce di reddito più basse, incentivando la crescita professionale e lo sviluppo delle professionalità, che già oggi mancano. Nel giro di dieci anni mancheranno clamorosamente e dovremo attrarle nel nostro Paese. Occorre scegliere come gestire i nuovi contratti di lavoro, svincolando le norme e i Contratti Collettivi dalla regolamentazione di orario e luogo. Il livello più adeguato è quello aziendale, legato alle concrete esigenze (e ai diritti) di presenza, di disponibilità, di lavoro a distanza.

Il mondo del lavoro è rimasto mentalmente nel Novecento, mentre tutto intorno cambia. L’essere umano in azienda è una risorsa preziosa, da valorizzare, da ricercare e formare, una leva di crescita, non un costo da ridurre. È il vero fattore distintivo, mentre le risorse tecnologiche diventano rapidamente accessibili a tutti. A ogni livello saranno le persone nelle aziende a orientare e finalizzare la ricerca, la capacità realizzativa, la creatività, il servizio, le emozioni e le esperienze, lo sviluppo sostenibile.

Allora da oggi dobbiamo passare non tutti allo smart working, ma a un lavoro davvero smart, intelligente, per tutti. Il 1° Maggio 2021 deve essere l’ultima Festa del Lavoro vecchio. O d’ora in poi ci sarà poco da festeggiare.

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