Priorità ridurre la burocrazia

La CNA di Treviso denuncia che per avviare una pizzeria da asporto ci vogliono oltre 70 adempimenti. Noi di burocrazia ne avevamo già parlato con Carlo Cottarelli al nostro Congresso

Carlo Cottarelli da anni dice che la priorità è ridurre la burocrazia, ma poi non succede mai nulla. Emblematica è la denuncia degli adempimenti per aprire una pizzeria da asporto. Dice Giuliano Rosolen, direttore di CNA Treviso: “L’artigiano che voglia operare nella ristorazione non assistita deve far fronte a oltre #70 #adempimenti per poter avviare l’attività, altri 20 per consentire il consumo immediato del prodotto. Poi deve rispettare ben #33 #circolari MISE e sa di poter essere controllato da ben 21 diverse #autorità ispettive”.

Certo, come il colesterolo c’è la burocrazia buona e quella cattiva, controlli e adempimenti sono necessari per garantire il rispetto di norme, leggi ecc. e una concorrenza sana. E di certo la nostra salute, come nel caso della pizza, merita rispetto e attenzioni. Ma solo quanto basta!

Sotto alcuni passaggi dell’intervista che Mario Mantovani, presidente CIDA e vicepresidente Manageritalia, ha fatto a Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio conti pubblici italiani e visiting professor dell’Università Bocconi, nel corso dell’ultimo Congresso di Manageritalia.

MM: Servono più investimenti privati?

CC: Se chiediamo agli investitori cosa frena di più gli investimenti, la risposta è sempre la stessa: tasse, troppa burocrazia e giustizia lenta. Dobbiamo ridurre la burocrazia. Oggi abbiamo 103 tasse e tributi vari che devono essere pagati e se ne introducono di nuovi. Il nostro sistema fiscale è particolarmente complesso. Sono 30/35 i miliardi spesi dalle pmi per compilare moduli. Siamo al 51esimo posto sulla facilità di fare impresa nell’indice della Banca mondiale. Poi c’è la lentezza della giustizia. Secondo le ultime classifiche 2016, un processo civile in Italia richiede 8 anni e 2 mesi per i processi che arrivano in cassazione, contro i 2 anni e 2 mesi in Germania, i 2 anni e 3 mesi in Spagna, i 3 anni e 5 mesi in Francia e 1 anno e 2 mesi della Polonia. La riduzione della burocrazia e la lentezza della giustizia non mi sembrano priorità per questo governo, così come non lo sono state in passato. Oltre il 50% dei ricorsi sono di natura fiscale e in molti casi è l’Agenzia delle entrate che li presenta.

MM: Ma la burocrazia non nasce forse come un concetto nobile di difesa del cittadino contro il sovrano? È sempre stata un argine tecnico contro la discrezionalità. Perché oggi ha un significato soltanto negativo?

CC: Mi pare si possano identificare tre cause: il modo in cui sono scritti le leggi e i regolamenti, la mancanza di cultura organizzativa e informatica nella Pubblica amministrazione e la specializzazione delle piccole imprese, che identificano ogni processo amministrativo, anche necessario, con la “burocrazia”. La responsabilità principale è di chi scrive le norme e della stratificazione di queste ultime. Poi è vero che per dialogare col mondo servono contratti, procedure, sistemi informativi. Girano un mucchio di bufale sull’eccesso di norme. Bernardo Mattarella ha fatto un calcolo secondo cui ci sono in vigore 10mila leggi. Il triplo del Regno Unito. Siamo più o meno al livello della Francia, ma oltre le 10mila leggi statali abbiamo le 27mila regionali. Il numero di nuove norme è probabilmente cresciuto. Perché abbiamo questa passione per regolamentare e fare norme che poi non vengono rispettate? Ci vorrebbe un sociologo, uno psichiatra… però è così.

MM: Nel suo libro afferma che da un lato lottiamo contro eccesso di norme e regole, ma dall’altro ci sentiamo più protetti. Ci sentiamo nudi senza norma?

CC: Dovremmo accettare una maggiore discrezionalità. È una cosa paradossale. Da un lato abbiamo uno Stato che ci riempie di norme, stile Grande Fratello, Leviatano di Hobbes, però poi tollera l’evasione, le dichiarazioni solo proforma, le norme sul lavoro che non vengono rispettate. Il rapporto del cittadino nei confronti dello Stato è quello del suddito, come scrive nel suo ultimo libro Serena Sileoni dell’Istituto Bruno Leoni. Lo Stato fa finta di opprimerci ma poi non fa realmente rispettare le leggi. Nell’ambito commerciale vi cito il caso di un panificatore di Cremona che discute da tempo con l’Agenzia delle entrate: perché se sforni un pane specifico devi applicare l’aliquota del 4% invece di quella del 10%, il pane non è tutto uguale.

Vedi l’intervista a Carlo Cottarelli nella versione integrale.

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