Quando brand ed employee activism divergono

I recenti casi di Twitter, Facebook e New York Times mostrano le diverse facce del tanto attuale attivismo da parte di aziende e dipendenti

Negli ultimi giorni, dopo tanto parlare di brand activism, abbiamo assistito ad almeno due chiari casi di employee activism contro la loro stessa azienda.

Questo è infatti quello che hanno recentemente fatto i dipendenti di Facebook e del New York Times rispondendo alle azioni delle loro aziende su dichiarazioni di Trump e altri sulle manifestazioni USA dopo l’uccisione di George Floyd.

Nel primo caso i dipendenti di Facebook si sono messi contro men che meno che il capo supremo Mark Zuckerberg, che, contrariamente a quanto fatto da Twitter, non ha contrastato le affermazioni di Trump contro i manifestanti USA espresse sulle pagine dei rispettivi social network. Zuckerberg ha deciso di non intervenire sui commenti e i continui post incendiari pubblicati sui profili di Trump e della sua galassia digitale perché ha detto “i social non devono essere arbitri della verità”.

Jason Toff, director of product management di Facebook, non ha gradito le parole di Zuckerberg. “Non sono fiero di come si sta muovendo l’azienda e molti colleghi con cui ho parlato la pensano come me. Dobbiamo far sentire la nostra voce”, ha scritto su… Twitter, il social che invece aveva censurato gli stessi messaggi di Trump.

Pochi giorni dopo è toccato al New York Times, coinvolto in una polemica interna per avere pubblicato nella propria sezione delle opinioni un articolo firmato dal senatore repubblicano Tom Cotton in cui si chiede l’intervento dell’esercito per fermare le rivolte iniziate dopo l’uccisione di George Floyd. Dopo una ribellione da parte dei dipendenti (in più di 800 hanno firmato una lettera di protesta) e dei lettori (sui social e in tanti altri modi), un portavoce del Times ha ammesso che la pubblicazione dell’articolo di Cotton è stata “affrettata” e che il testo “non era all’altezza” di essere pubblicato.

Insomma, l’activism è oggi più attivo che mai. In uno dei primi testi sulla materia (Kotler, Sarkar, “Brand Activism. From purpose to action”, 2018), Philip Kotler e Christian Sarkar definiscono il brand activism come la chiara volontà da parte dell’azienda di assumersi responsabilità in ambito sociale e di partecipare al raggiungimento del bene comune. L’attivismo dei dipendenti riguarda invece azioni intraprese dai lavoratori per parlare a favore o contro i loro datori di lavoro su questioni controverse che incidono sulla società.

Spesso l’attivismo dei dipendenti agisce per cambiare le politiche della loro azienda, con particolare attenzione all’attivismo sociale, ovvero azioni eseguite intenzionalmente per generare un cambiamento sociale.

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