Salone del Mobile e design

Salone del Mobile 2018: riflettori puntati sull'eccellenza del design italiano. Un format di successo che conferma quanto di buono e vitale il nostro paese riesce ancora a produrre e a comunicare al mondo intero. Ne parliamo con Davide Crippa, architetto, fondatore di Studio Ghigos, docente al Politecnico di Milano (Architettura degli Interni e Allestimento) e alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (Design del Prodotto)

Come sarà dal suo punto di vista la 57a edizione del Salone del Mobile di Milano?

Un solito straordinario successo di un modello 100% italiano che ci copiano in tutto il mondo 

Cos’è oggi l’interior design a livello mondiale?

È la disciplina di confine per antonomasia, il luogo dove convergono i saperi delle diverse discipline. Lo è sempre stato e ora lo è ancora di più con l’introduzione di temi come “internet delle cose”. 

E cosa caratterizza quello (l’interior design) italiano?

Quello italiano è caratterizzato da un grande sapere artigianale e un forte vocazione a sperimentare nuove forme dell’abitare. Se dovessi però far una critica, la farei sulla poca ricerca fatta finora sul tema che accennavo precedentemente. Mi piacerebbe vedere qualche ricerca spinta e nuova tipologia di oggetto (come gli arredi trasformabili). 

Il bello e l’estetica, quanto contano e cosa sono in un arredamento d’interni?

Rubando una battuta, la “funzione che bella forma” o forse come si diceva dagli anni 80 “la forma che bella funzione”. 


A livello di interior design noi italiani siamo leader o ce la dobbiamo giocare?
Beh, per fortuna almeno su questo l’Italia gioca da testa di serie! Siamo e siamo stati sempre i leader del settore e un faro nella ricerca, siamo anche stati in grado di collaborare non solo con i designer italiani ma i designer internazionali. Come dicono anche gli stranieri, è più semplice lavorare con le aziende italiane per competenza e sensibilità al progetto. 

Il Salone del mobile è più importante per il business o per il design in sé?

Il Salone del Mobile è un orgoglio nazionale, un format di fiera innovativo che ci siamo inventati in anni di tradizione e innovazione sul tema dell’arredo. 

Chi è oggi l’interior designer: un umanista, un creativo, un business man…?

Come sempre, un umanista tecnico. 


Ci sono oggi in Italia movimenti tipo Memphis e giovani interior designer che hanno preso il posto dei nostri mostri sacri?
Forse il movimento che doveva prendere il posto di Memphis poteva essere il movimento dei maker, ma visto i risultati finora direi che siamo lontani. Mentre purtroppo i designer contemporanei risentono di come sta andando la società e sono semplicemente una somma di individualità poco capaci di far gruppo. 


Quale consiglio darebbe a un giovane che voglia perseguire questa professione (ossia diventare consulente di interior design)? 
Quella di saper guardare a 360 gradi, di essere in grado di prendere ispirazione da tutte le arti così da avere un punto di vista privilegiato sulle tendenze; senza poi dimenticare la capacità di guardare le innovazioni della società che creano i cambi di esigenze e di future domande di mercato. 

Quanto impatta e impatterà il digitale, l’internet of things, sull’interior design?

Credo che il confronto con il tema sia obbligatorio. Anche se forse il vero lusso negli interni potrebbe essere quello di creare ambiente per sconnettersi più che per connettersi. Sicuramente ci saranno almeno due atteggiamenti al tema, ne sono abbastanza sicuro. 


La tendenza all’accesso piuttosto che al possesso, i Millennials e tutto quanto sta cambiando nella società mondiale: quanto e come impatta sull’interior design?
Probabilmente alla lunga l’idea di accesso si potrebbe collegare all’idea di micro-industria diffusa che viene così narrato dalla poetica della digital fabrication e della rivoluzione 4.0. Sicuramente siamo ancora molto lontani dal quel modello produttivo e sociale. Ancora per un po’ l’abitare risente delle nostre esigenze primordiali. 


Quale futuro vede per l’interior design italiano?
Mi piacerebbe vedere un futuro fatto di rivoluzioni “dolci” sul tema dell’abitare, una rivoluzione non urlata che assecondi nostri atteggiamenti ma ci porti un modello alternativo alla sindrome di connessione. In fondo l’interior design può ancora dire qualcosa e suggerire modelli di vita alternativi e innovativi. 


Se e come l’interior design potrebbe essere per l’Italia un business di punta capace di coniugare bello, sostenibilità, estetica, vivibilità, fatturati…?
Non so, ho come l’impressione che l’interior design in Italia sia già un business di grande successo che coniuga tutte queste cose. Pensiamo al solo caso di Minotti, una bellissima storia e realtà italiana. 


Cosa pensa del Fuori Salone, che tanti considerano quasi più stimolante dello stesso Salone del Mobile?
Non sono due modelli antagonisti ma due angolazioni diverse di guardare gli stessi temi. Uno più sperimentale, l’altro più vicino al mercato e alla vendita. 


L’anno scorso lei per il Fuori Salone si inventò il primo temporary design hostel. Quali furono i risultati e quest’anno cosa si è inventato?
Beh, l’anno scorso è andato benissimo, un bell’esperimento con un pizzico di follia realizzato grazie all’aiuto di Ideas Bit Factory e MakersHub (i due makerspace/fablab di Bovisa) e con la complicità della scuola del Design del Politecnico di Milano e di Polidesign. Un format nuovo di esposizione abitabile dove i designer entrano in gioco completamente insieme ai loro prodotti. Quest’anno, memori del successo, intorno all’evento “A letto con il Design” e al Politecnico di Milano si sono sommate una serie di iniziative che hanno dato vita al Bovisa Design District. Quest’anno il design hostel ospiterà la mostra “Design a Sorpresa” (progetti in 10 centimetri di giovani progettisti della Naba) e “Favole al Telefono – storia della gastronomia italiana” una mostra interattiva fruibile chiamando dal telefono della reception (un vecchio telefono a ghiera hackerrato) le varie suite (tematizzate dai marchi Levoni Suite, Orco Suite, Rossana Suite ecc.). Un racconto tutto italiano per raccontare l’innovazione nella tradizione e il saper fare che ci contraddistingue. 

Per chiudere, quanto mancherà il critico d’arte Gillo Dorfles a questo Salone del mobile, ma ancor più all’arte e al design italiano e perché?

Gillo ci mancherà, come ci mancano sempre i nostri maestri Munari, Mangiarotti, Magistretti, assenze speciali che non è semplice colmare nella leggera e pungente intelligenza e nel loro modo speciale di saper guardare le “cose” del mondo. 

Facebook
LinkedIn
WhatsApp

Potrebbero interessarti anche questi articoli

Cerca