Amministrare una regione in un certo senso è come gestire un’azienda complessa. Secondo lei, quali sono le caratteristiche e le competenze che un presidente di Regione dovrebbe avere? Lei si sente anche un po’ manager?
«Fin dall’inizio della mia vita politica, ho sempre cercato di seguire un principio che ritengo imprescindibile: ricordarmi che, quando sei alla guida di un’istituzione o comunque ricopri un ruolo decisionale, stai governando anche per chi non ti ha votato o non ti voterà mai. Questa è la caratteristica che dovrebbe avere un buon amministratore: rappresentare tutte le persone e comunque provare a dare risposta a tutte le esigenze. Insieme a un’altra».
Quale?
«Stare tra le persone. Io giro moltissimo e cerco soprattutto di ascoltare, parlando solo una volta definita una soluzione efficace e concreta. Spesso ho anche cambiato idea su alcuni provvedimenti che inizialmente ritenevo giusti, ma, rendendoci conto che il sentire comune era diverso, li abbiamo modificati o eliminati. Non voglio apparire populista: girare e ascoltare purtroppo non serve senza un’adeguata preparazione, però, se non lo fai, è praticamente impossibile operare in maniera corretta».
Regioni come l’Emilia-Romagna, la Lombardia o il Piemonte stanno affrontando profondi cambiamenti, da luoghi della produzione a regioni e città sempre più vocate al terziario e ai servizi. Come governare questo fenomeno e quali sfide ci attendono?
«Dall’inizio del mio primo mandato, l’Emilia-Romagna è la regione cresciuta di più in Italia e, soprattutto, quella che esporta di più, nettamente davanti a Lombardia o Veneto per quota pro capite. Il merito è soprattutto delle straordinarie imprese di questo territorio, che realizzano prodotti di una qualità che non ha eguali al mondo: penso alla Motor Valley o all’agroalimentare, al distretto ceramico e a quello biomedicale, solo per citare alcuni esempi. Ma anche i servizi sono un ambito vitale e in netta crescita: ne avremo sempre più bisogno, perché la nostra società va verso un processo di digitalizzazione che dobbiamo abbracciare e non contrastare. Così come l’invecchiamento e l’innalzamento dell’età media, se da un lato sono indubbiamente notizie positive, dall’altro chiamano le istituzioni, a partire dal governo nazionale, a ripensare le attività di welfare e di assistenza sociale e sanitaria in modo radicale».
Tra i fattori di cambiamento c’è senz’altro il turismo di massa, che si sta trasformando in un vero e proprio problema. Dagli affitti brevi che svuotano le città alla riduzione del commercio di vicinato, fino alla gentrificazione di interi quartieri urbani. Come reagire e quali soluzioni adottare per far convivere il turismo e le sue strategiche risorse con il futuro della regione e delle principali mete turistiche?
«In 10 anni l’Emilia-Romagna è passata da 45 a 62 milioni di presenze. Il grosso lo fa la Riviera, certo, ma sono in netta crescita anche le città d’arte, la montagna e in generale il turismo esperienziale. Numeri così alti portano conseguenze come il proliferare degli affitti brevi e di un’offerta commerciale che rischia di omologarsi a dispetto del tessuto autentico delle città: sono problemi reali che bene affrontare. Le regioni sono al fianco dei comuni, con bandi a sostegno del commercio di vicinato e delle produzioni di qualità, o incentivando gli affitti “tradizionali” a favore degli inquilini, ma è evidente che servirebbe una normativa nazionale per ottenere un’efficacia importante».
Parliamo di economia, con un +3,2% in Emilia-Romagna e +3,8% in Italia stiamo assistendo anche nell’ultimo anno alla crescita costante dei manager privati nelle imprese. Numeri che esprimono la dinamicità di un tessuto economico regionale e nazionale che, nonostante le difficolta del momento, decide di investire nelle competenze. Come commenta questi dati?
«Innanzitutto, dimostra la bontà del vostro lavoro e l’importanza del vostro ruolo, dunque, complimenti. E poi confermano che investire nelle competenze porta un ritorno positivo in termini economici e di crescita. Di talenti e capitale umano si parla troppo poco nel nostro Paese: gli stipendi non sono abbastanza alti e tantissimi ragazze e ragazzi scelgono l’estero, perché dopo il percorso di studi non trovano uno sbocco adeguato alla loro preparazione. In pratica, rischiamo di formare figure per gli altri paesi. In Emilia Romagna abbiamo approvato, primi in Italia, una legge per attrarre nuovi talenti e mantenere qui i nostri, tramite una serie di incentivi fiscali e di contributi che vanno dagli asili alla casa».
Cosa pensa dell’azione del governo sin qui fatta per sostenere crescita e occupazione?
«È stato fatto poco o nulla. Il taglio al cuneo fiscale è minimo e non ci sono le risorse per renderlo strutturale, mentre il Pd ne propone uno molto più rilevante usando i finanziamenti che sono stati dirottati sulla flat tax, una misura inutile che nessun paese occidentale utilizza. Abbiamo avanzato anche l’introduzione di un salario minimo legale di 9 euro l’ora: il governo ha risposto “picche”, dicendo che avrebbero avanzato una controproposta, di cui, però, non si sa nulla da quasi un anno. Per le imprese, infine, non è stato fatto niente: non c’è nessuna politica industriale, anzi, di industria proprio non sparla mai. Le aziende sono abbandonate a loro stesse».
Da anni, ormai, il vero problema dell’Italia è lo sviluppo economico: secondo lei di cosa avrebbe bisogno il Paese per una vera crescita strutturale e duratura? Ci dia tre ambiti su cui riflettere e intervenire.
«Primo: aumentare gli stipendi, agendo sul cuneo fiscale e introducendo il salario minimo. Secondo: spingere sulla digitalizzazione delle imprese, con incentivi e bandi dedicati, perché possano continuare a competere sui mercati internazionali. Terzo: la transizione ecologica, ma deve tenere insieme ambiente e lavoro, dunque le aziende, così come le famiglie, vanno accompagnate con fondi e stanziamenti».
I manager che contributo possono dare alla Regione e al Paese?
«Ho sempre pensato, e ne sono ancora più convinto ora, che ognuno possa dare un contributo importante al benessere comune. Per questo abbiamo voluto uno strumento come il Patto per il Lavoro e per il Clima, a cui hanno aderito tutte le forze sociali, sindacati e imprese, gli enti locali, le università, il terzo settore e tante altre realtà: una piattaforma, unica in Italia, dove abbiamo condiviso tutte le scelte strategiche, con ottimi risultati. I manager sono figure importanti che hanno una grande responsabilità: gestire al meglio le organizzazioni dove operano, mantenendo la coesione all’interno dei luoghi di lavoro e che possono aiutarci nel far emergere quei talenti e quel capitale umano che, come dicevo, sarà la chiave per mantenere il nostro territorio competitivo con quelli più avanzati del mondo».
Veniamo a lei, cosa lascia e come lascia l’Emilia-Romagna dopo questa esperienza?
«Io posso solo ringraziare di aver avuto questo onore. Servire la mia terra per 10 anni. È una responsabilità, ma anche una grande fortuna, perché gli emiliano-romagnoli sono persone speciali, che non si lamentano davanti alle difficoltà – e ne abbiamo avute di drammatiche – ma si rimboccano le maniche e lavorano insieme per superarle. Questa è una terra dove quando uno si alza, la prima cosa che fa non è mettersi a correre, ma girarsi indietro per tendere la mano a chi ancora non è in piedi».
Lei è stato eletto in Europa. Che idea ha dell’Europa e del ruolo dell’Italia in Europa?
«Io sono un convinto europeista. Senza Europa, l’Italia sarebbe molto più debole. Proviamo a immaginare se fossimo usciti dall’euro, come qualcuno voleva negli anni scorsi: le imprese non potrebbero competere a livello internazionale, le istituzioni non avrebbero fondi adeguati per finanziare il servizio scolastico o quello sanitario, i risparmi delle famiglie vedrebbero dimezzato il proprio lavoro. Certamente, serve un’Europa diversa. Più vicina alla gente e meno ai capitali, che sappia ascoltare le imprese e non si faccia sentire solo quando deve misurare i centimetri delle zucchine. Va fatto un grande lavoro e sono pronto a mettermi in gioco per il bene delle comunità
che mi hanno dimostrato così tanta fiducia».
Cosa si ripromette di fare in particolare nell’arco del suo mandato?
«Ho molto a cuore il tema di una giusta transizione ecologica. Perché un cambiamento è necessario, ce lo chiedono le nuove generazioni, che vedono a rischio il bene più prezioso che abbiamo: il nostro pianeta. Quel cambiamento deve articolarsi con provvedimenti giusti, che per prima cosa non contrappongano ambiente e lavoro, penalizzando magari proprio quelle stesse imprese che vanno, invece, accompagnate in questo percorso con incentivi economici adeguati. E lo stesso vale per le famiglie: oggi chi possiede le auto più vecchie o a casa ha le stufe più inquinanti sono donne e uomini che non hanno le risorse per cambiarle. Anche loro vanno aiutati, se non vogliamo correre il rischio di una reazione opposta, che sarebbe devastante per il nostro futuro».