Al welfare il 54% della spesa pubblica

Ecco i dati dell'ultimo bilancio previdenziale

Presso la Camera dei Deputati a Roma, per il quarto anno consecutivo, il 15 febbraio è stato presentato “Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza”.
In apertura i componenti del Comitato Tecnico Scientifico di Itinerari Previdenziali hanno presentato i tratti salienti del Rapporto, offrendo ai partecipanti un quadro sulla sostenibilità finanziaria e sociale del sistema pensionistico italiano (per la prima volta anche regionalizzata): da un lato sono stati esaminati gli andamenti delle gestioni pubbliche, in termini di entrate contributive e spese per prestazioni previdenziali e assistenziali, e gli inevitabili riflessi sulle variabili economiche; dall’altro, sono stati presentati i tassi di sostituzione offerti dal sistema pubblico e le conseguenti opportunità di sviluppo per il welfare complementare. In funzione dell’attuale situazione demografica, è stata analizzata la spesa sanitaria e per long term care sia pubblica che privata.

In base ai risultati delle proiezioni relative al sistema pensionistico obbligatorio, nel Rapporto vengono illustrate le tendenze e l’andamento del rapporto spesa totale/ Pil successivi al 2015 e in una prospettiva di breve e medio lungo termine anche con riferimento sia alla sostenibilità finanziaria sia all’adeguatezza delle prestazioni.

Come già in passato, il Rapporto ha evidenziato lo sproporzionato numero di prestazioni assistenziali erogate rispetto a quelle erogate a fronte di una contribuzione. Nel 2015, il 51,34% delle prestazioni erogate dal nostro sistema previdenziale (calcolandole al netto delle integrazioni al minimo) è di tipo assistenziale. Un dato che, se da un lato non riflette fedelmente la situazione economica generale del nostro Paese, dall’altro lato mostra come siano ancora pochi i risultati conseguiti sul fronte della razionalizzazione di alcune componenti della spesa sociale, in particolare quelle che, al netto delle indifferibili esigenze di solidarietà sociale, presentano un conto iniquo all’universo dei contribuenti, chiamati a farsi totalmente carico di queste situazioni.

Il Rapporto rappresenta l’ideale continuazione delle pubblicazioni realizzate dal Nucleo di Valutazione della Spesa Previdenziale fino al 2012, anno in cui il Ministero del Lavoro ha sospeso l’utile attività di studio fatta proprio dal Nucleo.

Il documento, oggi curato da Itinerari Previdenziali, fornisce sia una visione d’insieme del complesso sistema previdenziale del nostro Paese sia una riclassificazione della spesa inserita nel più ampio bilancio dello Stato. La novità di questa edizione è la ripartizione delle entrate contributive e della spesa pensionistica e assistenziale per singola Regione associata alla scansione delle diverse tipologie di prestazioni pensionistiche e assistenziali per distribuzione geografica.

Nel Rapporto sono inoltre analizzati il bilancio dell’Inail, la spesa sanitaria pubblica e privata, i “tassi di sostituzione” offerti dal sistema con proiezioni per differenti carriere e scenari economici e i numeri del welfare complementare ed integrativo. Tutti elementi che consentono di completare bilancio del sistema di welfare italiano.
È opinione diffusa che la spesa per pensioni sia troppo alta. Non è così: dal bilancio riclassificato, la spesa pensionistica previdenziale, cioè supportata da contributi realmente versati, non è pari al 17% del Pil italiano bensì all’11%, perfettamente in linea con lo standard europeo.

Inoltre, a differenza di quanto spesso si afferma, in Italia si spende molto di più per il welfare di quanto si creda: la spesa per prestazioni sociali nel 2015 incide per il 54,13% sull’intera spesa pubblica comprensiva degli interessi sul debito pubblico; tale incidenza, rispetto al PIL si attesta al 27,34% ed a questa percentuale occorre aggiungere le altre funzioni sociali che portano il totale al 30% circa cioè uno dei livelli più elevati dell’Europa a 27 paesi. Oggi, la spesa sociale cresce molto più rapidamente di quella pubblica totale e del PIL, trascinata soprattutto dalla spesa per assistenza che, a differenza di quella pensionistica, non ha regole precise, un monitoraggio efficace e spesso non ha strumenti di controllo.

Separare la spesa assistenziale da quella previdenziale è una richiesta che proviene da più parti e da molti anni. Questa operazione non è solo utile in termini contabili perché fa chiarezza su spese che sono molto diverse tra loro ma è anche un esercizio di equità tra chi ha versato e chi no. È necessaria poiché il nostro modello di welfare per finanziare le pensioni prevede una tassa di scopo (i contributi sociali) mentre l’assistenza è finanziata dalla fiscalità generale.

Dai dati emerge che i primi 18.714.687 di contribuenti (pari al 45,96% del totale), di cui 6.821.730 pensionati, dichiarano redditi da zero a 15.000 euro e quindi vivono con un reddito medio mensile di poco superiore ai 600 euro lordi, meno di quello di molti pensionati. Questi primi 18.714.687 di contribuenti cui corrispondono 27,9 milioni di abitanti, anche per via delle detrazioni, pagano in media circa 305 euro l’anno e si suppone pochissimi contributi sociali, con gravissime ripercussioni sia sul sistema pensionistico (chi pagherà loro la pensione se non versano contributi?) sia sulla futura coesione sociale.

Ma chi paga l’Irpef? Chi finanzia il welfare? Partendo dagli scaglioni più alti, con redditi sopra i 300.000 euro troviamo solo lo 0,08% dei contribuenti (poco più di 31 mila) che pagano però il 4,7% dell’Irpef; sopra i 200 mila euro, lo 0,19% che paga il 7,3% dell’Irpef. Con redditi lordi sopra i 100 mila euro (meno di 52 mila netti) troviamo l’1,04% pari a 424.000 contribuenti che tuttavia pagano il 16,9% dell’Irpef; sommando a questi contribuenti anche i titolari di redditi lordi da 55.000 otteniamo che il 4,13% paga il 33,6% e considerando infine i redditi sopra i 35.000 euro lordi, l’11,28% paga il 52,5% di tutta l’Irpef.

In sintesi, quello che deve preoccupare è che la gran parte dei 37 milioni di concittadini (redditi da zero a 20.000 euro annui lordi) sono a quasi totale carico del 11,28% dei contribuenti che dichiarano oltre il 52% di tutta l’Irpef. Il carico fiscale sulle pensioni per il 2014 per un totale complessivo di 49,394 miliardi è stato il livello più elevato di sempre.

Un altro dato, importante per la tenuta del nostro sistema pensionistico che funziona secondo lo schema della “ripartizione” è il rapporto tra occupati e pensionati che nel 2015 è pari soltanto a 1,388 attivi per pensionato. Infine il rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e popolazione indica che è in pagamento una prestazione ogni 2,627 abitanti; in pratica una prestazione per famiglia il che fa capire quanto sia sensibile l’argomento pensioni.

Nella seconda parte dell’incontro è stato lasciato spazio alla politica, per conoscere il punto di vista dei policy maker verso i settori della previdenza, dell’assistenza e del welfare integrativo partendo dagli input necessari dal mercato del lavoro per favorire le entrate contributive e come gestire l’impatto della spesa pensionistica e assistenziale sui conti pubblici al fine di favorire sostenibilità e coesione sociale.

L’edizione in inglese del rapporto viene inviata ogni anno a tutti gli Organismi internazionali in modo che possano avere un quadro sempre più completo, e veritiero, sul bilancio del sistema previdenziale italiano.

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