Le questioni che abbiamo sollevato durante il convegno “Una sconfinata giovinezza”, hanno innescato un interessante dibattito, come dimostra l’articolo pubblicato oggi da La Repubblica (vedi qui) che sta ricevendo in queste ore numerosi commenti da parte dei lettori.
In un contesto in cui le risorse fossero illimitate nessuno avrebbe tirato fuori questi argomenti, ma noi siamo partiti dalla realtà. La pensione di reversibilità è iniqua. Oggi, quando un pensionato muore lascia il 60% della pensione al superstite. E se chi rimane (nell’88% dei casi una donna) ha un altro reddito, la pensione di reversibilità può scendere addirittura fino al 30% di quanto DOVUTO al pensionato.
Ricordiamo che la pensione, anche quella di reversibilità, non è assistenza ma è il risultato di contribuzioni versate dal lavoratore negli anni. E che il matrimonio non può essere considerato un affare perché – religioso o civile che sia – serve a fondare la famiglia sulla base degli affetti più profondi.
Certo, qualcuno ci marcia. Ci sono intrighi, accordi con familiari, badanti che sposano il pensionato non per amore ma per godere per tutta la vita di una rendita mensile a carico dell’Inps.
Chiediamo di controllare il fenomeno, correggere gli abusi e utilizzare le risorse così generate per aumentare le pensioni a chi ne ha il giusto diritto. Come dovrebbe accadere con le pensioni di invalidità e con l’evasione fiscale e contributiva, anche qui dando i frutti del risparmio ottenuto a chi è virtuoso e a chi ne ha realmente bisogno.
Riteniamo ingiusto che il sistema previdenziale, da un lato, imponga continui tagli alle pensioni (tramite perequazioni parziali e annullate come nel 2008) e generi fortissime perdite del potere d’acquisto delle stesse (fino al 50% negli ultimi 18 anni per una pensione media o medio-alta) mentre, dall’altro lato, conceda pensioni di reversibilità decennali a fronte di diritti coniugali spesso equivoci.
Speriamo che il legislatore sappia, in tempi brevi, dare risposte ispirate non dalla paura del diverso ma dalla volontà di adeguare il nostro welfare al contesto sociale che stiamo vivendo, nel quale l’immigrazione rappresenta una grande forza generatrice di innovazione, di reddito e di vitalità.
Ci ascolteranno?