Pensioni: l’importante è che se ne parli

Il polverone mediatico non aiuta la cultura previdenziale

Il polverone mediatico sulla previdenza in questi ultimi giorni si è intensificato. Dalle dichiarazioni di Tito Boeri a quelle del governo, passando per le prese di posizione di politici, sindacalisti, esperti veri e presunti e sommando il tutto con le altre informazioni di ogni genere in circolazione (tra cui moniti di commentatori autorevoli e meno autorevoli, dibattiti, allarmi, ipotesi, proposte, ricerche, smentite, polemiche, testimonianze, comunicati) si assiste all’ennesimo corto circuito mediatico sull’argomento.

Un corto circuito che finisce per alimentare la confusione e non aiuta chi vuol comprendere quali sono le questioni in gioco sulla previdenza e sui tanti temi che vi ruotano attorno: pensioni, flessibilità, reversibilità, perequazione, secondo pilastro. E anche lavoro, giovani vs anziani, demografia, welfare, politiche attive, innovazione sociale. 

Portare alla ribalta il tema in questo modo rischia di essere controproducente ai fini di una reale affermazione della cultura previdenziale in Italia. Non sono quindi d’accordo con chi avendo ruoli istituzionali, di governo o nell’Inps, partecipa al dibattito assecondando il principio che “l’importante è che se ne parli”.

Parlare troppo e parlare spesso a vanvera quando in particolare si ha responsabilità sulle decisioni che coinvolgono delle collettività, genera un clima di incertezza e disincanto che impedisce ai cittadini di entrare razionalmente nel cuore dell’argomento e di prendere decisioni consapevoli sul piano personale.

Chi sta lavorando sulle riforme e chi prende le decisioni sulla materia, insomma, dovrebbe comunicare meno e comunicare meglio. La volontà di innovare la previdenza deve essere accompagnata dall’attuazione di provvedimenti coerenti e credibili anziché sulla diffusione superficiale di ipotesi contraddittorie che servono a sondare gli umori e a lanciare messaggi finendo però per danneggiare ulteriormente la fiducia nel sistema.

Abbiamo bisogno di diminuire l’incertezza e non di aumentarla, come si sta facendo, se vogliamo che i nostri azionisti, tutti gli italiani che hanno e/o dovranno avere una pensione, continuino a investire sulla previdenza. Quanto oggi accade è invece equiparabile a un’azienda quotata in borsa che quotidianamente vede i suoi vertici dire sul titolo tutto e il suo contrario. Il modo migliore per destabilizzare l’andamento del titolo e allontanare gli investitori. Per non parlare del rischio di aggiotaggio.
 

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